giovedì 31 ottobre 2013

EURO FORTE …EURO CRASH!

http://www.scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2013/06/euro-crash.jpg
A beneficio di chi si affaccia per la prima volta in questo blog e crede ancora nella magia delle banche centrali, come amava ricordare con la sua sottile ironia, il grande J.K.Galbraith, …la perniciosa inutilità della   e i rischi che derivano dal fare affidamento su di essa sono oggi una realtà.
Dell ‘inutilità delle banche centrali, della loro incapacità abbiamo già parlato ma anche Milton Friedman non scherzava in questo senso…
“We don’t need a Fed,” Milton Friedman says, twirling a letter opener as he speaks. “I have, for many years, been in favor of replacing the Fed with a computer,” he adds. Each year, it “would print out a specified number of paper dollars” to augment the money supply. “Same number, month after month, week after week, year after year.”
…Noi non abbiamo bisogno di una Fed, per molti anni sono stato a favore della sostituzione della Fed con un computer…
“The Fed has had very few periods of relatively good performance,” he continues. “For most of its history, it’s been a loose cannon on the deck, and not a source of stability.”
La Fed ha avuto molti pochi periodi di relativa buona performance…per la maggior parte della sua storia è stata una mina vagante sul ponte e non un fattore di stabilità.
Vi ricordate l’armata brancaleone guidata da Trichet, quando nel 2008 all’inizio della recessione in pieno picco del prezzo del petrolio stoltamente aumentò i tassi di interesse per controllare la fantasia dell’, accelerando l’inizio della tempesta perfetta in Europa? Bce alza tassi di un quarto di punto Al 4,25%, il massimo da sei anni 
Un bambino tirando una monetina avrebbe fatto meglio di qualunque banchiere centrale in questa crisi, inflazione, ma quale inflazione, siamo all’interno dell’uragano “debt deflation” altro che inflazione!
Bene, siccome la storia non si ripete mai ma ama fare la rima ecco che dalla lampada delle banche centrali esce un altro genio…
“Non credo che un tasso negativo sui depositi sia realistico, e non mi pare realistica neanche la prospettiva di abbassare il tasso principale di politica monetaria”. A dirlo è Ewald Nowotny, consigliere della Banca centrale europea, che in un’intervista a market News International ha inoltre affermato che la politica dovrà abituarsi a convivere con un euro in apprezzamento. “Naturalmente non ne siamo contenti”, ma “non vedo alcuno strumento con cui contrastarlo”. (Milano Finanza)
Ahahahahah… non vedo alcun strumento per contrastare l’apprezzamento dell’euro! Ma fatemi un piacere, tornate a studiare coraggio!
Un pò di pazienza e nelle prossime settimane e nei prossimi mesi potrete osservare in diretta gli effetti di un euro forte, di un euro in apprezzamento mentre in America godono della svalutazione del dollaro…
Come riporta Zero Hedge SocieteGenerale si diletta a prevedere il PIL del terzo trimestre che a causadello shutdown verrà rilascio il 7 di novembre.
Qualche oca giuliva racconta che tutto ciò mettarà in crisi la Fed oggi nella sua riunione in quanto non dispone di tutti i dati macro. Ma Voi credete veramente che loro non sappiano già tutto quello che sta avvenendo.
 I dati ad oggi disponibili indicano che l’economia è cresciuta ad un tasso annualizzato del 2,3% nel 3 ° trimestre, cioè leggermente inferiore rispetto alla nostra previsione pubblicata del 3%. (leggermente inferiore …oh mamma ) Di seguito si riporta il dettaglio dei contributi alla crescita da parte di ogni settore. Mentre quasi tutti i settori dell’economia hanno mostrato un certo rallentamento rispetto al secondo trimestre, la domanda dei consumatori è la ragione principale per la nostra revisione, con il consumo reale cresciuto di appena 1,5% ( ieri addirittura sono scesce del 0,1 %…)  Inoltre stiamo rivedendo ribasso la nostra previsione per il quarto trimestre dal 3,6% al 3,0% per tenere conto degli effetti dello shutdown del governo e per l’effetto trascinamento di un terzo trimestre più debole.”
Sembra di essere alla vigilia della grande recessione del 2007, quando all’improvviso solo nella primavera del 2008 l’America si accorse di essere in recessione.
Chissà perchè via Zerfo Hedge sono tutti agitati …
JPMorganPimco, and now BlackRock, the world’s largest asset manager, all join the bubble warning chorus. From Bloomberg:
  • FINK SAYS IT’S “IMPERATIVE” THAT THE FED BEGIN TO TAPER
  • FINK CALLS MARKET `OVER-ZEALOUS’ 
  • FINK SAYS THERE ARE “REAL BUBBLE-LIKE MARKETS AGAIN”

… e Bill Gross di Pimco su Twitter Gross: All risk asset prices artificially high. When won’t they be? When they don’t produce growth in real economy. Is 2% GDP enough?
Tutto procede come da programma di navigazione, Machiavelli docet, oggi due sorprese possibili: a) nonostante i dati la Fed dichiara di voler incominciare il drenaggio della liquidità comunque a dicembre o b) addirittura come più volte sottolineato prospetterà che per combattere inutilmente la disoccupazione e il nuovo shutdown di gennaio/febbraio, aumenterà il QEinfinity, ovvero la liquidità!
Comunque vada sarà un fallimento, lo dice la storia e l’analisi empirica, ma loro non si arrendono gli conviene?
Nel frattempo l’uovo di Colombo, l’ ennesima conferma che abbiamo scelto la rotta giusta è in viaggio, per tutti coloro che hanno sostenuto o vorranno sostenere liberamente il nostro viaggio.

Fonte : icebergfinanza

Finanzieri e poteri forti finanziano Renzi


 100mila euro dal finanziere Davide Serra e dal manager di una multinazionale chimica, Guido Ghisolfi. A cui si aggiungono molti altri nomi più o meno noti, per un totale di 800mila euro versati per sostenere la campagna per le primarie del 'rottamatore'. E non mancano le curiosità.
Di Andrea Signorelli
Ricordate la polemica tra Matteo Renzi e Pierluigi Bersani in seguito alla cena organizzata dal finanziere Davide Serra per raccogliere fondi in favore della campagna elettorale del sindaco di Firenze? La cosa era stata utilizzata dal Partito Democratico per mettere in dubbio le credenziali di sinistra di Renzi, il quale aveva risposto che “con la finanza bisogna parlare”. Il nome di Davide Serra oggi rispunta fuori, perché in cima alla lista dei finanziatori della Fondazione Big Bang, che hanno donato soldi per la campagna di Matteo Renzi. Una lista pubblicata dallo stesso Renzi sul sito della fondazione, un atto di trasparenza promesso e comunque dovuto, a maggior ragione da parte di chi si è più volte detto favorevole all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (da notare, di sfuggita, che Beppe Grillo ancora non ha presentato la rendicontazione dei suoi, di finanziamenti). 

Insomma, la lista dei finanziatori di Matteo Renzi serve anche a capire come funzionerebbe la politica se davvero i rimborsi elettorali venissero aboliti. “Potranno far politica solo i paperoni come Berlusconi e Beppe Grillo”, aveva detto Pierluigi Bersani. Beh, Renzi un Paperone non è – anche se non se la passa male – ma molti dei suoi amici donatori invece appartengono alla categoria. Fin qui, niente di male. Ma leggere di ricchi imprenditori, manager e finanzieri che donano anche centomila euro a un politico per aiutarne la scalata non può non far sorgere una semplice domanda: “Cosa ci guadagnano?”. È, insomma, un impeto ideale a spingerli, o c’è dietro qualche interesse?
Al primo posto nella lista troviamo, appunto, il finanziere Davide Serra e la sua società Algebris, che ha donato 100mila euro assieme alla moglie Anna Barassi. La stessa cifra è stata versata anche da Guido Ghisolfi, manager della multinazionale italiana della chimica M&G. 25 mila euro ciascuno da parte Paolo Fresco (ex manager Fiat) e da sua moglie Marie Edmée Jacquelin in Fresco. E poi via via tutti gli altri, elencati sul sito della Fondazione Big Bang, per arrivare alla cifra totale di 814.502,23 euro. Ma quali possono essere le ragioni che spingono a dare tutti questi soldi alla campagna elettorale di un politico in ascesa? Viene da pensare che tra i manager e i finanzieri italiani ci siano persone che non si sentono rappresentate dal centrodestra, ma che fanno fatica a riconoscersi in un centrosinistra che spesso vede in loro dei “nemici”. E quindi, perché non dare una mano a Renzi, nella speranza che, sul lungo termine, questo possa portare anche dei vantaggi di tipo economico?
Se si guarda al programma di Renzi, o anche solo alle sue dichiarazioni in campo economico, le ragioni dei suoi sostenitori si possono capire. Prendiamo per esempio i diritti dei lavoratori: il ‘rottamatore’ si è detto favorevole all’abolizione dell’articolo 18, non è un amante dei sindacati, è un liberista convinto e crede nella flessibilità nel mondo del lavoro. E aggiungiamoci anche e non è favorevole alla super tassazione dei capitali guadagnati giocando in borsa. Ecco che imprenditori e manager che non si sentono rappresentati da Silvio Berlusconi hanno trovato il loro campione, in grado di unirne valori e interessi.
Ma torniamo alla lista dei finanziatori, in cui figura anche un nome scomodo: Alfredo Romeo ha versato 60mila euro. Ma chi è Alfredo Romeo? Trattasi di imprenditore condannato in primo grado per corruzione e arrestato nel 2009. Perché avrebbe dovuto versare questi soldi? Difficile da capire, anche se – e la cosa alleggerisce la posizione di Renzi – va notato che Romeo è da lungo tempo un finanziatore di partiti, in particolare di quella Margherita da cui Renzi proviene. Semplice coerenza, quindi? Sembrerebbe di sì.
Tratto da : Informatitalia

martedì 29 ottobre 2013

L'Italia non esiste più. Al suo posto solo caos

Italia in crisiGli storici del futuro probabilmente guarderanno all'Italia come all'esempio perfetto di un paese che in appena due decenni è riuscito ad affondare dalla posizione di nazione industriale prospera e all'avanguardia, alla condizione di incontrastata desertificazione economica, assolutamente pessima gestione demografica, “terzomondizzazione” rampante, tracollo della produzione culturale, e completo caos politico-istituzionale.
In un breve post in questo stesso blog, la situazione disastrosa dell'economia italiana è stata brevemente descritta.
A pochi mesi di distanza, lo scenario di un serio disordine nelle finanze dello stato italiano si sta consolidando, con l'introito fiscale che si è contratto del 7% in luglio, il rapporto deficit/PIL proiettato di nuovo ben oltre la soglia obbligatoria del 3%, e il debito pubblico ben oltre il 130% del PIL. E peggiorerà.
Il governo sa perfettamente che la situazione è insostenibile, ma per il momento è solo capace di ricorrere ad un aumento dell'IVA estremamente miope (fino a toccare lo sbalorditivo 22%) che deprimerà ancora di più i consumi, e di vaghi proclami sulla necessità di spostare il carico fiscale dagli stipendi e le aziende alle rendite finanziarie, nonostante la probabilità che questo sia messo in pratica siano di fatto trascurabili.
Per tutta l'estate, i politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con messaggi su un'imminente ripresa. In effetti, per un'economia che ha perso circa l'8% del PIL non è impossibile uno o più trimestri positivi. Tuttavia, è una profonda distorsione semantica elementare chiamare un recupero annuale del (forse) 0,3% una “ripresa”, considerando il disastro economico degli ultimi 5 anni. Sarebbe più corretto parlare di transizione da una severa recessione a una sorta di stagnazione. Sfortunatamente, come i protagonisti di una tragedia greca, i leader italiani sono stati privati dagli dei anche di questo pietoso e illusorio sogno di stagnazione. I dati economici dei mesi estivi mostrano che il declino economico è lungi dall'essere finito.
Uno studio recente indica che il 15% dell'industria manifatturiera italiana, che prima della crisi era la maggiore in Europa dopo la Germania, è stato distrutto, e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questi dati da soli mostrano l'entità immensa, sostanzialmente irreparabile, del danno che il paese sta subendo. Secondo l'autore, le radici di questa situazione sono nella cultura politica immensamente degradata dell'élite del paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato innumerevoli accordi e trattati internazionali senza nemmeno considerare gli interessi economici del paese e senza alcun ragionevole progetto per il suo futuro. L'Italia non avrebbe potuto entrare nell'ultima ondata della globalizzazione in condizioni peggiori.
I leader del paese non hanno mai riconosciuto che l'apertura indiscriminata ai prodotti industriali leggeri dell'Asia avrebbe distrutto le industrie italiane che prima erano leader negli stessi settori. Hanno firmato gli euro trattati promettendo ai partner europei riforme che non sono mai state attuate, ma impegnandosi in pieno alle politiche di austerità. Hanno firmato il regolamento di Dublino sui confini europei sapendo perfettamente che l'Italia non è minimamente capace (come mostrato dal continuo influsso di immigranti clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di controllare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza, l'Italia si è trovata imprigionata in una rete di strutture legali che stanno rendendo la completa scomparsa della nazione praticamente certa.
L'Italia al momento ha la più alta tassazione sull'impresa in Europa, e una fra le più alte del mondo. Questo fattore, insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente e burocrazia inefficiente, che include la più lenta e inaffidabile giustizia in Europa, sta spingendo tutti i rimanenti imprenditori fuori dal paese. Questa volta non solo verso destinazioni con basso costo del lavoro, come l'Asia orientale e meridionale, ma un grande flusso di aziende italiane si sta riversando nelle confinanti Svizzera e Austria, dove, nonostante il costo del lavoro relativamente alto, le aziende trovano un vero stato che collabora con loro, invece di sabotarle. Un evento recente organizzato dalla città svizzera di Chiasso (vicino al confine italiano) per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino, ha avuto la partecipazione di una folla di 250 imprenditori italiani.
La scomparsa dell'Italia come nazione industriale è anche riflessa nel livello senza precedenti della fuga di cervelli, con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, come anche in Nord America e Asia orientale.
In definitiva, chiunque nel paese produca qualcosa di valore, insieme alla maggior parte della popolazione istruita, se ne sta andando, sta progettando di andarsene, o vorrebbe andarsene. In effetti l'Italia è diventata un posto per una sorta di saccheggio demografico dalla prospettiva di altri paesi più organizzati, che da molto hanno visto l'opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente qualificati, spesso educati a spese dello stato italiano, semplicemente offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non vedranno mai se resteranno in Italia.
Tutto questo sembra non preoccupare la leadership politica italiana. Da una parte, il paese è prigioniero di un duopolio culturale: o è cultura cattolica, o è cultura socialista. Entrambe sono preoccupate con ambizioni universali (piuttosto escatologiche e sempre più antimoderniste) che rendono la prospettiva nazionale non viabile per loro. In effetti, lo stato italiano fu creato da conservatori liberali e monarchici modernisti, a volte animati da forme virulente di anticlericalismo, essenzialmente l'opposto dell'élite politica odierna. Non sorprende che quanto viene raggiunto dai primi, viene disfatto dai secondi. Il problema tuttavia non è tanto lo smantellamento dello stato nazione, ma che lo stato nazione non verrà rimpiazzato da alcun significativo progetto politico, lasciando il posto, sostanzialmente, al caos.
Dall'altra parte, l'Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Siccome i politici di partito hanno portato il paese al quasi-collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto serie conseguenze globali, il paese è stato essenzialmente preso in mano da un piccolo numero di tecnocrati provenienti dall'ufficio del presidente della repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d'Italia. Il loro compito è di garantire la stabilità dell'Italia rispetto all'Europa e ai mercati finanziari, a qualsiasi costo. Finora questo è stato raggiunto mettendo da parte entrambi gli schieramenti politici e il parlamento al livelli senza precedenti, e con un onnipresente e costituzionalmente discutibile interventismo del presidente della repubblica, che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell'ordine repubblicano ancora ufficialmente parlamentare. L'interventismo del presidente è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e dell'odierno governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale.
Il punto è che, laddove i politici hanno fallito, i tecnocrati sperano di riuscire. L'illusione, che molti italiani stanno coltivando credendo che il presidente, la Banca d'Italia, e la burocrazia sanno meglio come salvare il paese, è ora molto diffusa. Resteranno amaramente delusi. La leadership corrente, sia tecnocratica che politica, non ha l'abilità, e forse neppure l'intenzione, di salvare il paese dalla rovina. Al contrario, sarebbe facile dimostrare che le politiche di Monti hanno esacerbato una recessione già severa. Letta sta seguendo esattamente la stessa strada. Ma tutto deve essere sacrificato nel nome della stabilità. I tecnocrati condividono lo stesso background culturale dei partiti politici, e sono riusciti a salire alle loro attuali posizioni in simbiosi con essi: di conseguenza è ingenuo pensare che otterranno risultati migliori, perché sono anche incapaci di avere alcuna visione di lungo termine per il paese. In effetti sono i garanti della scomparsa dell'Italia.
In conclusione, la rapidità del declino è davvero incredibile. Questo non è sicuramente esclusiva dell'Italia, dal momento che la maggior parte se non tutti i paesi occidentali stanno subendo terzomondizzazione rampante. Italia ha semplicemente meno “capitale” economico e sociale da bruciare rispetto alla Germania e ad altri paesi nordici. Ma deve essere chiaro che, continuando in questo modo, non resterà nulla dell'Italia come moderna nazione industriale in meno di una generazione. Ma già fra una decina d'anni intere regioni del paese, come la Sardegna o la Liguria, saranno già demograficamente così compromesse che potrebbero non riprendersi più.
I fondatori dello stato italiano 150 anni fa avevano combattuto fino alla morte nella speranza di riportare l'Italia in una posizione centrale quale miracolo culturale ed economico all'interno del mondo occidentale, come quella che occupava nel tardo medioevo e nel rinascimento. Quel progetto ora è completamente fallito, da una parte proprio con l'abbandono dell'idea culturale di avere ambizioni politiche significative aldilà della semplice amministrazione giorno per giorno, dall'altro con il messianico (ma di fatto insensato) universalismo teso a salvare il mondo anche a spese della propria comunità politica. A meno di un miracolo, ci potrebbero volere secoli per ricostruire l'Italia. Al momento, sembra una causa completamente persa.
Autore: Roberto Orsi / Traduzione dal sito della London School of Economics a cura di Mandragola / Fonte: perchiunquehacompreso.blogspot.it
Tratto da: ecplanet

lunedì 28 ottobre 2013

FRANCIA: L’IDEA dell’USCITA DALL’EURO CONTAGIA LE ISTITUZIONI

PARIGI – La rottura di un tabù non vuol dire necessariamente che un’azione radicale è alle porte. Ma il fatto che all’Eliseo francese abbiano iniziato a discutere dell’ipotesi di abbandonare l’area della moneta unica è sicuramente un fatto sorprendente.In particolare di questi giorni in cui assistiamo all’ascesa nei sondaggi e nelle elezioni amministrative del candidato terzo incomodo alla presidenza nel 2017, Marine Le Pen,
convinta anti europeista e protezionista, leader del Fronte Nazionale di estrema destra. Il partito considera l’euro un esperimento fallimentare e ha pronto un piano dettagliato per mettere in pratica l’uscita dal blocco a 17 e il ritorno al Franco francese
La verità è che le richieste di imposizione di una rottura del castello di sabbia dell’Eurozona hanno raggiunto anche i piani alti dell’establishment politico, toccando il cuore delle autorità filo europeiste. Da europeo convinto lussemburgo-francese, che rinnega l’eurofobia dilagante di estrema destra, l’autore del libro “La Fin du Rêve Européen” (La fine del sogno europeo), il professor François Heisbourg, sostiene che il “cancro dell’euro” deve essere asportato dal corpo per salvare il resto del progetto dell’Unione Europea, prima che sia troppo tardi.
“Il sogno è diventato un incubo – scrive il partigiano di un’Europa federale. Dobbiamo accettare la realtà che l’esistenza dell’UE da sola è minacciata dall’euro. Gli sforzi compiuti per salvare la moneta unica stanno mettendo in pericolo l’Unione ancora di più”, se possibile.
“Non c’è niente di peggio – si legge nelle pagine del testo – che dover confrontarsi tutti i giorni con le mattine senza sole (“matins blêmes”) di una crisi senza fine, ma non faremo più finta di niente negando la realtà e solo Dio sa per quanto tempo le autorità Ue in carica hanno evitato, per default, di affrontare il problema”.
Questo “rifiuto ha condannato le nostre risposte all’eterna insufficienza davanti alla crisi”, si legge nell’introduzione del libro. “Accoglieremo la fine del sogno e il ritorno al reale, non come un disastro, ma come una sfida da superare”.
Prima o poi, scrive Heisbourg, i leader europei dovranno rilanciare il progetto dell’euro, probabilmente tra 10 anni, ma solo dopo aver stabilito le fondazioni federaliste necessarie e solo tra chi sarà disposto ad accettare tutte le implicazioni che si porta con sè la costituzione di una moneta federale.
Il difficile però sarà convincere i cittadini a credere in un’iniziativa che, anche se con condizioni diverse, la prima volta si è rivelata fallimentare. Adesso, complice anche la crisi del debito, le istituzioni e nazioni non sono pronte. C’è un motivo per non sottovalutare il fatto che la Francia incominci a parlare di un’ipotesi simile: è un segnale di un discontento crescente nei confronti delle politiche messe in moto dalla Germania.
L’alleanza franco tedesca è la colonna portante dell’Eurozona. Se dovesse venire meno, l’euro non avrebbe un futuro. Il professor
Heisbourg è un insider dell’Eliseo, un prodotto del Quai d’Orsay e un federalista europeo, da tempo immemore favorevole al progetto di un’area della moneta unica. Al momento presiede il seguito e rinomato Istituto Internazionale per gli Studi Strategici (IISS). (wsi)
Fonte: http://www.wallstreetitalia.com/article/1636292/eurozona/francia-idea-uscita-euro-contagia-le-istituzioni.aspxuu

sabato 26 ottobre 2013

Segnali d’insofferenza all’EURO sulla riva della Senna

Il Telegraph riporta di nuovi importanti segnali di insofferenza all’euro da parte della Francia, questa volta dall’interno del Quai d’Orsay – il Ministero degli Esteri sulla riva della Senna – e precisamente dall’Istituto per gli Studi Strategici: l’euro è un cancro da estirpare per il bene dell’Europa, e l’eurozona un guscio vuoto.

Gli appelli allo scioglimento dell’UEM si stanno diffondendo nelle alte sfere dell’establishment francese di politica estera, e nel centro pro-europeo.
Un nuovo sorprendente libro di François Heisbourg – La Fin du Rêve Européen ( La fine del sogno europeo ) – sostiene che il “cancro euro” deve essere estirpato per salvare il resto del progetto dell’UE prima che sia troppo tardi.
Egli scrive :
” . . Il sogno si è trasformato in un incubo. Dobbiamo affrontare la realtà: la stessa Unione europea è minacciata dall’euro. Gli attuali sforzi per salvarlo stanno ancor più mettendo in pericolo l’ Unione”.
 
Non c’è niente di peggio che dover affrontare le livide mattine (matins blêmes ) di una crisi senza fine, ma non abbiamo intenzione di evitarle negando la realtà, e Dio sa che il rifiuto della realtà è stato per molto tempo, per impostazione predefinita, il modo di operare dei responsabili delle istituzioni dell’Unione europea.”
Più avanti in futuro, egli insiste, i leader europei potrebbero rilanciare l’euro, ma solo dopo aver stabilito le necessarie basi federaliste, e solo tra un’avanguardia di paesi disposti ad accettare tutte le implicazioni di una moneta federale.
 
L’appello a “mettere a riposo l’euro” per il bene dell’Europa rappresenta una nuova svolta. Abbiamo sentito qualcosa del genere dal partito tedesco anti-euro  AfD, ma con un’altra impostazione. Il libro di Heisbourg è una sfida aperta alla Dottrina Merkel (in gran parte retorica, contraddetta dai fatti) che un crollo dell’UEM potrebbe resuscitare tutti i vecchi demoni del 20° secolo.
Certo, una disintegrazione dell’euro potrebbe effettivamente portare a un risultato così disastroso se si consentisse agli eventi di andare fuori controllo, dopo anni di aspre crisi – la direzione di oggi – ma che tipo di argomento è questo? Può succedere solo se si lascia accadere. E’ giunto il momento che qualcuno dall’interno delle élite dell’UE renda manifesta questa sciocchezza sentimentale e questo uso improprio della storia per quello che è.
 
Prof. Heisbourg è certamente un insider, un altro paio di maniche rispetto al Front National di Marine Le Pen, che ora è in testa nei sondaggi francesi con la promessa di far fuori l’UEM e ripristinare il franco francese.
Personalità del Quai d’Orsay, egli è un ardente federalista europeo e sostenitore di lunga data dell’UEM, e attualmente presidente del prestigioso International Institute for Strategic Studies (IISS).
 
Egli dice che i leader europei hanno perso di vista le priorità, e sembrano pensare che il sistema europeo deve essere sconvolto e riformato per le esigenze dell’euro, come se – in una visione pre-copernicana – il sole girasse intorno alla Terra . Non si può creare una federazione per salvare una moneta. La moneta deve essere al servizio della struttura politica, non il contrario“, dice .
Anche se lui sarebbe molto felice di assistere al grande balzo in avanti verso un superstato federale dell’UE – che egli ritiene necessario per rendere praticabile nel tempo l’unione monetaria – questo sogno ora è una “pura fantasia”.
 
I tentativi di creare un “demos europeo” hanno evidentemente fallito. Le nazioni si stanno allontanando sempre di più. Unreferendum su una concentrazione di potere nelle istituzioni dell’Unione europea fallirebbe quasi ovunque . “L’integrazione ha raggiunto i limiti della sua legittimazione“, scrive. Le intrusioni dell’UE, una volta sopportate come “sgradevoli”, sono ormai divenute “insopportabili”.
Leggendo tra le righe, sembra che sia stato spinto a scrivere questo libro dallo shock per il ruolo della Germania nella crisi libica, il suo rifiuto di fornire aerei da trasporto (una cortesia di routine per gli alleati della Nato) per aiutare la Francia “a fermare un altro massacro di Srebrenica” a Bengasi, anche dopo che l’intervento era stato approvato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dalla Lega Araba.
 
Lo splendido Joschka Fischer ha definito la decisione della Germania di allinearsi con la Russia e la Cina “un errore scandaloso”, avvertendo che se la Germania avesse continuato a giocare a questo gioco avrebbe rischiato di svegliarsi un giorno e ritrovarsi in “una posizione molto precaria”.
È forse possibile che si dia troppo peso all’episodio della Libia, ma la posizione franco-tedesca non è molto migliore sulla Siria. O come dice il mio stimato collega del Telegraph Con Coughlin: la posizione precostituita della Germania è ora pro-Mosca.
 
Si potrebbe concludere – anche se il prof Heisbourg non va così lontano – che la Germania non è più un alleato della Francia in nessun senso significativo, né in difesa né in politica estera (e nemmeno commerciale), e se è così, questo fatto ha delle implicazioni sconvolgenti. Si potrebbe anche concludere che l’UE è già morta, un guscio vuoto.
Inutile dire che il prof Heisbourg non accetta l’ultima affermazione da parte della Banda dei Cinque dell’EMU che Eurolandia abbia svoltato l’angolo, o che le politiche di crisi stiano “cominciando a produrre risultati.”
 
La composizione del quintetto è rivelatrice: Rehn, Dijsselbloem, Asmussen, Regling e Hoyer – un finlandese, un olandese, tre tedeschi; le voci delle forze dell’ordine dei creditori. Non potevano trovare almeno un latino, anche solo per la messa in scena?
Lui lo chiama un “cancro in remissione” . Il tentativo di tagliare il debito con l’austerità fiscale – invece di lasciare che la crescita eroda il peso del debito nel corso del tempo, all’Americana – e di farlo senza lo stimolo monetario, è stata la “scelta fatale” . I rapporti di debito stanno esplodendo, verso il punto di “rottura non lineare”.
La depressione e la disoccupazione di massa nel sud Europa non rappresentano un equilibrio stabile. I cittadini possono aver mostrato finora una “santa pazienza“, non ci sono ancora stati colpi di stat , egli scrive, o un ritorno al terrorismo Italiano degli “anni di piombo”, o anche al caos degli studenti del 1968.
Ma niente di tutto questo può essere dato per scontato. Tra gli Stati creditori e quelli in deficit stanno emergendo narrazioni della crisi drasticamente diverse, che egli paragona alla spaccatura di atteggiamenti dopo la Prima Guerra Mondiale, quando delle visioni distorte alimentarono un contraccolpo ideologico. Si sospettano tradimenti e imbrogli. Si imputano agli altri le peggiori motivazioni, e delle “leggende nere” prendono piede. Egli paragona questa situazione alla nascita della teoria della Dolchstoß(pugnalata alla schiena) in Germania.
La direzione attuale degli eventi porterà a delle “crisi seriali che termineranno in un esaurimento nervoso e una disgregazione incontrollata dell’euro con tutte le sue conseguenze” – egli scrive – evocando un parallelo diretto con il repentino disfacimento dell’Unione Sovietica, un epilogo che ha preso quasi tutti di sorpresa .
I leader europei devono affrontare la stessa scelta di un generale sopraffatto in un combattimento. Resistere e combattere fino all’annientamento, o rompere l’accerchiamento e salvare la pelle dei suoi soldati per un altro giorno, perdere la battaglia, ma non la guerra? Egli cita esplicitamente la ritirata ordinata della Francia sotto Joffre prima della Marna, nel 1914, una prodezza di recupero del morale che l’alto comando del Kaiser pensava impossibile.
 
Il suo piano prevede una completa rottura dell’euro e un ritorno alle valute nazionali. “O l’euro esiste nella sua interezza, o non esiste affatto.” Egli respinge la mezza misura di una divisione Nord-Sud, l’idea proposta da parte dell’ex capo della Confindustria tedesca Hans-Olaf Henkel di un Thaler tedesco nei paesi creditori del centro e un euro residuo nel blocco latino (più la Francia) che consenta agli stati più deboli sia di svalutare che di difendere i loro debiti contratti in euro.
La rottura deve essere preparato in gran segreto da un manipolo di funzionari a Berlino e Parigi, con tutti gli altri tenuti all’oscuro. E dovrebbe essere effettuata alla velocità della luce in un lungo weekend, sul modello della abolizione del Cruzerio brasiliano nel 1994, compito svolto con efficienza militare.
Il passo finale deve essere un atto congiunto franco-tedesco, al fine di “evitare la catastrofe di una situazione in cui la Germania sia vista come responsabile” . Solo su questa base il progetto UE può essere tenuto insieme. Gli altri dovrebbero tutti accettare il fatto compiuto.
Sarebbero imposti dei controlli sui capitali. Le banche centrali nazionali dovrebbero praticare il QE per attutire il colpo. Le valute dovrebbero esser lasciate fluttuare per un po’ prima di essere collegate di nuovo tra loro in un revival del “serpente monetario” manovrato.
Personalmente, io preferisco una versione diversa proposta da un gruppo di sovranisti francesi a L’Observatoire de l’Europe. Questa comporta che siano fissati nuovi tassi di cambio fino a quando si calmano le acque, usando una formula che tiene conto del differenziale di inflazione accumulato e dei saldi commerciali dal lancio dell’UEM.
 
Secondo il piano sovranista, le svalutazioni/rivalutazioni si stabiliscono verso una nuova unità di conto, l’ECU, che riflette la ponderazione media del vecchio euro ( non ancorato al nuovo D-mark). Il debito pubblico di ogni stato sarebbe riconvertito durante la notte in valuta locale (come la legge del peso argentino), chiunque siano i creditori. Ma il debito estero privato sarebbe valutato in ECU, un compromesso che fa condividere le perdite tra Stati deboli e Stati forti.
L’appello del Prof Heisbourg per un secondo tentativo di UEM e per una spinta ad un’unione federale tra 10 anni mi sembra un residuo di romanticismo, o forse è solo un modo per dimostrare che lui non è entrato a far parte dei reprobi come me, nella compagnia degli euroscettici.
Perché tra dieci anni gli storici Stati nazionali dovrebbero essere più disposti ad annullare se stessi di quanto non lo siano ora, non è spiegato. Come egli spiega in modo eloquente, lo sforzo fatto in 60 anni di unire insieme gli stati membri è fondamentalmente fallito, e quelli come Mitterrand e Kohl, plasmati dalla Seconda Guerra Mondiale, sono già da tempo scomparsi dalla scena.
Egli riconosce che i “No” francesi e olandesi alla Costituzione europea sono stati un punto di svolta, il momento in cui è apparso chiaro che i cittadini non avrebbero accettato la struttura del superstato UE, necessaria a far funzionare l’UEM. Sono perfettamente d’accordo. Il referendum del 2005 ha cambiato tutto. Ma se è così, allora è anche chiaro che i sentimenti antifederalisti degli stati nazionali sono più profondi e radicati dell’angoscia per l’euro, dal momento che nel 2005 il progetto della UEM sembrava andare liscio. E’ stato con la crisi greca del 2010 che la gente ha iniziato a capire che nell’euro in sé c’era qualcosa di sbagliato, e anche dopo è stata una lenta presa di coscienza.
Né credo che il Prof Heisbourg potrà distinguersi dagli euroscettici appellandosi alla purezza ideologica. La macchina sparerà bordate di insulti, come sanno per dura esperienza quelli che stanno da questa parte.  In ogni caso, i suoi argomenti sono più o meno uguali ai nostri. Un gran numero di euroscettici erano una volta “pro-europei”, per usare un’espressione poco simpatica. Lo ero anch’io. Perché tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 ho imparato tutte le principali lingue europee (male, a dire il vero, ma non per mancanza di entusiasmo), e perché ho studiato in Germania, Francia e Italia, una molla potente per il sogno. Poi sono andato a vivere in Texas.
Bernard Connolly era il funzionario responsabile della politica monetaria presso la Commissione europea in epoca Delors quando il complotto è stato ordito, e lui stesso resistette alle pressioni per falsificare gli argomenti a sostegno dell’agenda. Già allora egli si rendeva conto che una tale impresa incoerente sarebbe finita in spirali di debito, depressione e apartheid economico, come in effetti è stato. È per questo che è diventato un euroscettico della prima ora.
Sia come sia, la conversione di Heisbourg (i sacerdoti dell’ UEM lo chiameranno tradimento) è rivelatrice. Ci dice molto circa gli umori negli ambienti politici francesi, e manifesta le crepe che si nascondono sotto la facciata di un progetto egemonico. Una volta che il Quai d’ Orsay inizia a infrangere il tabù, dobbiamo essere vicini ad un punto di svolta politica.
 
Scommettete pure sulla ripresa dell’Europa, se volete, ma ricordate una cosa. Il divario Nord-Sud alla radice dei problemi dell’EMU non sarà colmato con un ritorno ad una crescita tollerabile – che non è per niente scontata – perché arriverà anche il giorno in cui la Germania chiederà l’aumento dei tassi di interesse. La crisi cambierà forma. Non se ne andrà. L’unione monetaria rimarrà disfunzionale, con la crescita e senza crescita.
Credere che un nuovo ciclo di espansione economica metterà fine a questa saga infinita è solo l’ultima di tante illusioni. Prof Heisbourg ha ragione. Rimandare non serve più a niente. Sarebbe meglio sbrigarsi.
 By GPG Imperatrice

I falsi miti sulla politica monetaria

Tutto quello che avreste voluto sapere e che non avete mai osato chiedere sulle banche centrali. Dopo tante chiacchiere e facili conclusioni sulla conduzione della politica monetaria di Federal Reserve e Banca Centrale Europea, credo sia arrivato il momento di improvvisarmi intervistatore e intervistato per chiarire alcuni punti sull’argomento.
Iniziamo subito con la madre di tutte le domande:
1) le banche centrali stampano moneta per fare Quantitative Easing?
No! L’introduzione di misure non convenzionali di politica monetaria (ndr Quantitative Easing) non ha modificato la produzione di moneta e banconote circolanti.
2) come fa la Fed a comprare ogni mese $85 miliardi fra titoli di Stato e titoli garantiti da mutui ed a sostenere oltre $3 miliardi di bilancio senza stampare moneta?
La Fed utilizza le riserve libere depositate dalle banche commerciali presso la banca centrale per scopi regolamentari, precauzionali o semplicemente per mancanza di investimenti alternativi.
04 - 1 Fed balance-sheet
3) nel 2011 la banca centrale svizzera (SNB) ha deprezzato la valuta stampando moneta?
No!
La SNB ha usato riserve delle banche domestiche per comprare assets in valuta estera per sostenere il floor sul franco svizzero.
4) quando si dice che la BCE non ha stampato moneta, significa che ha avuto un diverso comportamento rispetto alle altre banche centrali?
No!
La BCE, per tutti i programmi di acquisto a mercato (SMP) e di prestito a scadenza (LTRO, MRO), ha utilizzato il buffer delle riserve depositate in BCE da parte delle banche commerciali. In pratica, a fronte di un livello di moneta circolante pressoché fissa, sta usando la leva, cioè prende a prestito per aumentare l’attivo in funzione degli obiettivi di polica monetaria.
04 - 2 ECB balance-sheet
5) le banche centrali potrebbero acquistare i titoli di stato con moneta stampata e successivamente cancellarli dalla contabilità del debito?
No!
Le banche centrali sono degli enti pubblici i cui profitti e perdite vengono trasferiti all’entità superiore, il tesoro USA in caso della Fed e le banche centrali nazionali in caso della ECB. La cancellazione sarebbe solo una partita di giro, ed il debito consolidato netto dello Stato risulterebbe invariato. Solo nel caso ECB, si potrebbe assistere ad un trasferimento di debito fra paesi, ma solo in caso di acquisti di peso diverso rispetto alla partecipazione del capitale delle singole banche centrali nazionali.
6) Le banche centrali possono comprare o assumersi il rischio di prestare denaro a famiglie ed imprese, by-passando il sistema bancario?
No!
La banca centrale non è in grado di fare il lavoro capillare e territoriale di una banca commerciale nel valutare il rischio di un singolo mutuo o di un prestito per investimenti. Inoltre non ha il capitale necessario per assumersi le perdite in caso di eccesso di rischio dell’attivo. Paragonando, per esempio, gli indici di leverage, il capitale ECB è di €7.5mld contro gli oltre €2.300mld di attività; l’attivo quindi è 306 volte il capitale. Invece le banche europee capitalizzano €746mld con un attivo di €22.000mld, vale a dire in media 30 volte; ovvero con una metrica sul capital buffer più popolare, con un Tier1 capital medio dell’12% (tabella BCA Research tweet 17 ottobre su @Liuk__), la leva sugli assets è quindi l’8.3 volte.
7) le banche centrali non potrebbero usare i profitti del “signoraggio” per coprire le perdite derivanti dall’acquisto di titoli di Stato o dall’assunzione del rischio di credito?
No!
I proventi da signoraggio non sono altro che un mito: la BCE puo’ godere esclusivamente del profitto sul rendimento degli investimenti che fanno parte dell’attivo del suo bilancio e non sull’intero ammontare coniato al netto del costo di produzione delle banconote (che fanno parte del passivo!)
8) un aumento del bilancio della banca centrale si traduce in una economia più forte?
Non necessariamente. Un incremento spropositato del bilancio delle banca centrale è sintomo di evidenti difficoltà dell’economia stessa nel superare una crisi economica. Con le politiche monetarie non convenzionali le banche centrali sostituiscono la mancanza di high efficiency capital, quello creato dal settore privato, con low efficiency capital o quello fornito dal settore pubblico (concetto di Gave & Kaletsky in “Our Brave New World” e successivi). Lo scopo dell’aumento della leva alla banca centrale è quello di incentivare un incremento della leva delle banche commerciali sul credito favorendo la ripresa dell’economia reale. Postilla: se l’aumento del bilancio avviene attraverso lo scambio di strumenti fungibili (titoli di stato con rendimento quasi zero) non si producono effetti sull’economia reale.
9) se per ipotesi la Fed decidesse di dimezzare gli acquisti fino a giugno 2014 (tapering), riducendo il totale cumulato di periodo da $680mld a $340mld, si avrebbe calo di valore comparabile delle azioni USA?
No!
L’aumento di liquidità da parte delle banche centrali supporta gli indici azionari nella misura in cui riesce ad abbassare la struttura dei tassi di interesse presenti e futuri, aumentando quindi il valore dei profitti capitalizzati, ceteris paribus. Un altro effetto, questo indiretto, potrebbe risultare dall’effetto a catena derivante di un calo dei tassi di interesse: tassi più bassi sarebbero meno appettibili, spostando l’interesse degli investitori sulla curva di rischio, fino all’azionario. Il sentiero di profitti, alla base della valutazione fondamentale, non ha alcuna relazione con l’andamento del bilancio della Fed se non il canale indiretto della relazione fra aggregati nominali di crescita economica (ie. PIL, domanda domestica)
10) Le banche centrali esagerano nel concentrarsi sull’inflazione a discapito della crescita economica?
No!
Il comportamento delle banche centrali viene approssimato da una serie di relazioni teoriche astratte in gergo definite “funzioni di reazione”. Nonostante alcune di queste mostrino un comportamento più benevolo nel supportare la crescita rispetto all’inflazione, convergono su un concetto ormai condiviso: il contributo principale della politica monetaria alla crescita economica avviene attraverso la stabilità dei prezzi, e quindi dei tassi di interesse, presenti e futuri. Su questo, la credibilità gioca un ruolo fondamentale per ovviare, in parte, al paradosso delle banche centrali: prendere oggi delle decisioni, in base alle attese sull’economia di domani, utilizzando i dati di ieri.

giovedì 24 ottobre 2013

L’Europa di oggi come quella di Versailles. Un monito degli economisti

C’era una volta la teoria dell’austerità espansiva. Elaborata in una serie di saggi pubblicati su prestigiose riviste internazionali a partire dagli anni ‘90, spesso a firma di economisti italiani, la teoria decantava gli effetti salvifici dei consolidamenti fiscali. Sosteneva che – soprattutto nei Paesi in cui il debito pubblico registrava valori “elevati” rispetto al Pil – riduzioni della spesa pubblica al di sotto del livello della raccolta fiscale avrebbero alimentato la crescita. Si sa che l’Unione monetaria ha fatto proprie queste tesi e l’esito, come dimostra il fallimento delle politiche per arginare la crisi scoppiata nel 2007, è stato catastrofico.
Secondo le stime della Commissione Europea, a fine 2013 il Pil complessivo dei Paesi dell’Unione monetaria europea continuerà a mantenersi al di sotto del valore del 2007, di circa 2 punti percentuali. Per non parlare della drammatica condizione del mercato del lavoro che ha registrato un incremento della disoccupazione di oltre 7 milioni e mezzo di unità rispetto al 2007. Diversa è la situazione negli Stati Uniti, dove sia pure tra molte contraddizioni le autorità di politica economica hanno messo al bando l’austerity, e il valore della produzione sarà a fine 2013 quasi 6 punti percentuali più elevato del dato pre-crisi.
Ma c’è di più. Calata su un contesto già inizialmente squilibrato e applicata con carico maggiore nei Paesi periferici d’Europa, l’austerità sta contribuendo ad amplificare gli squilibri territoriali. In un contesto che segna in media decrescita e calo occupazionale, ci sono infatti alcuni Paesi che sono riusciti comunque a svilupparsi e altri che hanno invece conosciuto una crisi di proporzioni storiche. Alla fine del 2013 la Germania avrà un Pil di quasi 5 punti percentuali più elevato rispetto al 2007, e il numero di persone in cerca di lavoro si sarò ridotto di un terzo. Contemporaneamente, il Pil greco registrerà un calo di quasi il 22 per cento, quello spagnolo del 4 e mezzo per cento, quello italiano del 9 per cento. Rispetto allo scoppio della crisi, il numero di persone in cerca di lavoro sarà aumentato di oltre il 300 per cento in Grecia e in Spagna, mentre in Italia risulterà raddoppiato, passando da un milione e mezzo di unità a tre milioni. Insomma, mentre le aree centrali d’Europa sembrano per molti versi trarre persino vantaggio dalla situazione attuale - al punto che nel 2012 l’avanzo complessivo della bilancia commerciale di Germania, Olanda e Paesi scandinavi era pari a circa un terzo del Pil italiano – le economie dei Paesi periferici stanno soffocando nella camicia di forza creata delle politiche fiscali restrittive e dall’assenza di politiche di cambio e monetarie autonome. Né per il 2014 ci si attendono sostanziali cambiamenti. A riguardo, ricordo ai responsabili della politica economica italiana che già altre volte il nostro governo ha peccato di ottimismo in tema di crescita: il rischio di reiterare l’errore sembra alto anche nel caso della Legge di Stabilità per il prossimo anno.
L’aggravarsi degli squilibri europei non giunge inatteso. Gli effetti depressivi delle politiche di austerità, dimostrati in ambito scientifico, erano già stati sollevati con una lettera aperta firmata da 300 economisti keynesiani nel 2010. Oggi le critiche all’austerità riscuotono sempre maggiori consensi presso diverse scuole di pensiero. Lo si è registrato con il recente “monito degli economisti” promosso da Emiliano Brancaccio e dallo scrivente: il documento ha trovato ospitalità sul Financial Times ed è stato sottoscritto da alcuni tra i più autorevoli economisti europei e americani, tra cui studiosi di formazione mainstream. Alla luce dei crescenti squilibri europei, il “monito” avanza una previsione: se le politiche monetarie e fiscali europee non muteranno in senso espansivo, l’esperienza dell’Unione monetaria avrà fine e ai decisori di politica economica non rimarrà che una scelta tra modalità alternative per abbandonare l’euro. Il “monito” segnala che un simile esito sarebbe la logica conseguenza dell’attuale pretesa di scaricare l’onere del riequilibrio europeo sui soli Paesi periferici, a colpi di austerity e di riforme strutturali. Un errore grave, per più di un verso speculare a quello che l’Europa compì dopo la prima guerra mondiale, quando alla Germania venne imposto l’obbligo di rimborsare un volume insostenibile di debiti e di riparazioni di guerra. In quel caso, come aveva previsto John Maynard Keynes all’indomani del Trattato di Versailles del 1919, la “vendetta” non tardò ad arrivare, e fu atroce. La Storia non si ripete mai allo stesso modo, ma conoscerne gli snodi dovrebbe aiutarci a non ripetere gli errori del passato.
*Una versione leggermente ridotta di questo articolo è apparsa sul Sole 24 Ore il 23 ottobre 2013, con il titolo “Con l’austerità Unione a rischio”

martedì 22 ottobre 2013

MONTI E QUEL DISFATUTTO DI LETTA!

Affascinante davvero,  dopo aver disfatto l’Italia con la demenziale ideologia dell’austerità, il professor  disfa il governo del suo ammmiratore Enrico Letta, si quello che crede ai miracoli, si i miracoli allora esistono.
Non l’ho vista ma ho letto dell’intervista di fuoco del professore, in fondo non ha poi tutti i torti con tutte quelle prostitute politiche che si ritrovava in casa, sembrava di essere ad Arcore dove le olgettine facevano la fila, pregando in ginocchio come alcuni ministri,  per avere un posto qualunque e pensare che se non ci fosse stato il professore ci saremo liberati per sempre di certe mummie politiche in un colpo solo.
E invece non sappiamo più che fine ha fatto il simpatico Empy, il cagnolino elettorale del professor Monti, come dice la Brambilla, questi sono i problemi Signori, questa è l’Italia e Voi siete li davanti alla televisione ad ascoltare quello che Vi raccontano un manipolo di bip!
“ Credo che lo facciano perché vedono uno spazio elettorale più ampio da quella parte”, ha aggiunto l’ex presidente del consiglio: “Lo avrei fatto anch’io. ” (…)
Lo avrei fatto anch’io ? Oh Santo Cielo!
Se trovo ancora qualche politico che mi racconta che la politica è compromesso, giuro che gli sputo in faccia, questo non è compromesso è prostituzione per un posto qualunque, e gli italiani ancora inseguono un sogno che resterà nelle stesse lampade di aladino per sempre.
Serve ancora un pò di tempo per tornare a fare politica, quella vera, serve consapevolezza e conoscenza, prima che buona volontà, servono uomini e donne nuove, progetti alternativi, ma non solo, diffusione mediatica.
Per tutti quelli che invece si stanno rilassando dopo gli ennesimi regali del Governo Letta al sistema finanziario italiano,  consiglio di leggere la lettera segreta di  Draghi che chiede regole Ue flessibili su salvataggi  nella sostanza  chiede di rinviare clausola “bail-in”
Visto che da qualche parte bisogna dopo Cipro bisogna pur incominciare UPDATE 2-Poland reduces public debt through pension funds 
Doveva essere un segreto da pochi intimi ed invece … (ANSA) – ROMA, 19 OTT – La Bce ”conferma che il presidente Mario Draghi ha scritto una lettera al vicepresidente della Commissione europea Almunia il 30 luglio, relativa all’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato” alle banche. E’ quanto si apprende da fonti della Banca Centrale Europea, le quali precisano che la missiva è stata inviata anche al presidente dell’Eurogruppo e fatta circolare presso i membri del consiglio Bce.
Nel frattempo la nostra mitica Angelina, tanto amata insieme alla Troika da un popolo di fessi come il nostro, Sondaggio Coldiretti: il 33% favorevole alla troika Ue in Italia  dopo aver incassato 700.000 euro dalle case automobilistiche di lusso tedesche per procrastinare i limiti sulle emissioni di Co2 continua sulla falsariga della linea dittatoriale che ha caratterizzato la sua leadership in questi anni di inferno europeo, un messaggio per il nostro Letta, pieno di buone intenzioni …basta con l’austerity!   Europa, la Merkel tira dritto: «Aiuti solo in cambio di rigore 
La cancelliera tedesca vuole modificare i trattati per consentire a Bruxelles di avere maggior controllo sulle finanze degli stati membri dell’eurozona.
La cancelliera tedesca Angela  ha intenzione di proporre al prossimo Consiglio Europeo, che si terrà il 24 e il 25 ottobre, di modificare il ‘protocollo 14′ con una nuova versione che consenta a Bruxelles di avere maggior potere di controllo sui bilanci e sulle finanze degli stati dell’euro-zona. In cambio le nazioni che necessiteranno aiuti potranno aver accesso a dei fondi internazionali appositi dal valore di decine di miliardi.La Merkelvuole che l’Ue abbia più potere sulle finanze degli stati 
Mentre il nostro Paese ha versato all’Esm oltre 11 miliardi ma fa fatica a trovarne 5 per l’elemosina del cuneo fiscale, una sorprendente repubblica, braccio armato mediatico di un’Europa qualunque a qualunque costo ci racconta che …    IN GERMANIA prevale il sospetto che l’Europa del Sud voglia usare il fondo salvataggi (Esm), nel quale il governo di Berlino è primo azionista, senza poi rimborsare. La priorità tedesca è rendere quindi il fondo salvataggi quasi inutilizzabile. La base dell’Esm è il capitale versato dai governi dell’aerea euro (l’Italia è il terzo azionista). Il fondo non comunica in dettaglio come gestisce il capitale affidatogli, ma i criteri sono chiari: non può comprare titoli con rating sotto la “doppia A” (dunque Italia e Spagna sono fuori) e compra “attività liquide di alta qualità”.Dunque certamente in buona parte Bund tedeschi. E’ una scelta comprensibile, ma di fatto ciò significa che l’Europa del Sud sta sussidiando la Germania, senza poi poter attingere all’Esm per sostenere le proprie banche.
Mi dispiace la nemesi andrà sino in fondo e noi non possiamo fare nulla, perchè ogni mossa politica e finanziaria sin qui adottata, la storia insegna che è la sintesi dei conflitti di interesse e non quella del bene comune, del bene della collettività.
Sta per iniziare una settimana densa di appuntamenti macroeconomici a partire da oggi con le vendite di abitazioni esistenti e domani i dati sulla disoccupazione americana, desaparecidos durante lo shutdown. I dati del mercato immobiliare usciranno ben sotto le aspettative del mercato, ma questo non importa perchè loro hanno già deciso dove arrivare con l’aiuto del QEinfinity, altro che tapering,  nonostante l’indicatore CASE/SHILLER di Robert recentissimo premio Nobel dimostri che il mercato è sopravvalutato almeno del 30% secondo la media storica.
Loro sono la mano di dio e pensano che il decennale americano arriverà al 3.5 % per la fine del 2015, mamma mia che esplosione in due anni, peccato che non conoscano la storia, non sanno cosa sia un’analisi empirica.
Nel frattempo l’occasione d’ORO continua!