sabato 23 novembre 2013

L'Ordine esecutivo 11110 di J.F. Kennedy e la 'strana' traiettoria del proiettile del fucile di Lee Harvey Oswald


L'ordine esecutivo 11110 fu emesso in variazione del precedente Ordine Esecutivo 10289 del 1951, emesso dal Presidente Harry Truman.
L'ordine dava al Ministero del Tesoro il potere di emettere certificati d'argento contro ogni lingotto d'argento, argento o dollari standard argentei del tesoro non tenuti per il rimborso di certificati d'argento preesistenti, di prescrivere la denominazione di questi certificati d'argento e di coniare gli "standard silver dollars" e le valute complementari rimborsabili in argento.
 
L'ordine esecutivo 11110 fu un ordine esecutivo firmato il 4 giugno 1963 dal presidente degli Stati Uniti John Kennedy. Esso delegava al segretario del tesoro USA il potere, già attribuito al Presidente dall'Agricultural Adjustment Act del 1933, di emettere certificati argentei (silver certificates).
 

Ma chi era J.F.Kennedy ? 
Candidato del Partito Democratico, vinse le elezioni presidenziali del 1960 e succedette al Presidente degli Stati Uniti Dwight D. Eisenhower. Assunse la carica il 20 gennaio 1961 e la mantenne fino al suo assassinio. Gli subentrò il vicepresidente Lyndon B. Johnson
La sua breve presidenza, in epoca di guerra fredda, fu segnata da alcuni eventi molto rilevanti: lo sbarco nella Baia dei porci, la Crisi dei missili di Cuba, la costruzione del Muro di Berlino, la conquista dello spazio, gli antefatti della Guerra del Vietnam e l'affermarsi del movimento per i diritti civili degli afroamericani.
Kennedy fu assassinato il 22 novembre del 1963 a Dallas, in Texas. Lee Harvey Oswald fu accusato dell'omicidio e fu a sua volta ucciso, due giorni dopo, da Jack Ruby, prima che potesse essere processato. La Commissione Warren concluse che Oswald aveva agito da solo; tuttavia, nel 1979, la United States House Select Committee on Assassinations dichiarò che l'atto di Oswald era stato probabilmente frutto di una cospirazione.
Oswald fu accusato dell'omicidio ? La Commissione Warren concluse che Oswald aveva agito da solo ? ....e sulla base di quali prove ??? 
 
Bill HIck nel video che segue http://www.youtube.com/watch?v=ZyZ1LducGv0 smonta MAGISTRALMENTE  questa marea di cazzate....

Nel 1976, il presidente Gerald Ford si vide costretto a nominare una seconda commissione d'indagine, la United States House Select Committee on Assassinations HSCA, che presentò il risultato del suo lavoro nel 1979. La HSCA, basandosi in parte su prove acustiche, ipotizzò che vi fossero stati quattro spari concludendo che lo psicolabile Lee Harvey Oswald, poco dopo ucciso dal criminale con turbe psichiche Jack Ruby, potrebbe avere agito nel quadro di un progetto coinvolgente più persone.
Le conclusione della commissione Warren è quella definita da alcuni “della pallottola magica”, riferendosi a quel proiettile che causò sette ferite complessive a Kennedy e Connally, rimanendo sostanzialmente integro, cosa da costoro ritenuta impossibile. Inoltre e sempre secondo quanto essi sostengono, tale proiettile, per poter causare quelle ferite, non avrebbe potuto seguire una traiettoria rettilinea.
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Secondo alcuni studiosi della scena l'unica postazione dalla quale si sarebbe potuto avere la visuale per uno sparo il cui proiettile potesse effettuare una traiettoria compatibile con le ferite di Kennedy è la staccionata nei pressi della collinetta erbosa... le fotografie successive agli spari, mostrano molte persone correre verso la collinetta, dalla quale, interrogate successivamente, diranno di aver sentito esplodere i colpi.
75-90 secondi dopo l'ultimo sparo, al secondo piano del deposito di libri, Oswald si trovò di fronte al poliziotto Marion Baker. Baker attestò che ricordava di aver udito il rimbombo dei colpi approssimativamente nella costruzione di fronte a me, o in quella a destra, cioè da un altro edificio e fermò Oswald ma lì, davanti alla sala da pranzo, Oswald fu identificato dal sovrintendente dell'edificio, Roy Truly, che disse di lasciarlo andare. Sia Baker che Truly testimoniarono che Oswald appariva calmo, freddo, normale e in alcun modo senza fiato e non era sudato.
 E. Howard Hunt indicò prima di morire il responsabile politico nel vicepresidente Lyndon Johnson
Nel corso degli anni sono emerse molte vicende che vedrebbero Johnson coinvolto in più attività illegali, nessuna di queste provate con certezza. Si va da presunti brogli elettorali (nelle elezioni che lo portarono in Senato), a ripetuti casi di corruzione, fino a svariati omicidi nei quali LBJ sarebbe stato coinvolto o addirittura mandante. È importante in questo senso il legame di Johnson con Marc Wallace, assassino texano che fu alle dirette dipendenze di LBJ. Svariate sono le testimonianze a riguardo: E. Howard Hunt, ex agente della CIA, ha indicato in LBJ il mandante politico dell'omicidio Kennedy, convinzione nutrita anche privatamente da Jim Garrison, il procuratore che accusò l'uomo d'affari di New Orleans Clay Shaw di cospirazione; e pure da Madeleine Duncan Brown, amante texana di Johnson. Queste accuse hanno trovato conferma, nelle dichiarazioni rilasciate da Billie Sol Estes, amico e socio in affari di LBJ, al giornalista francese William Reymond. Anche Caroline Kennedy, figlia di JFK, ha implicitamente accusato Johnson di essere il mandante dell'omicidio, facendo pubblicare una presunta intervista a Jackie Kennedy nella quale la ex First Lady accusa Johnson e una lobby texana. Va infine detto che anche Jack Ruby, l'assassino di Lee Harvey Oswald, ha indicato in una lettera fatta uscire dal carcere, Johnson quale principale responsabile.

Ma chi era Lyndon Johnson ? ....aveva 55 anni. A 29 anni era stato eletto deputato, a 42 senatore, a 48 era il capo della maggioranza democratica al Senato: uno degli incarichi più importanti e influenti al Congresso. Era un tipo pacato che non sorrideva molto, ma non era di carattere debole – era freddo, controllato, con una presenza carismatica. Si candidò alle primarie presidenziali democratiche del 1960: non ottenne abbastanza voti da vincere ma riuscì a impedire a Kennedy – che aveva attaccato furiosamente per tutta la campagna elettorale – di avere la maggioranza dei delegati alla convention. Nonostante la forte opposizione di suo fratello Robert, Kennedy decise di offrire a Johnson la vicepresidenza. Johnson accettò, Kennedy vinse le elezioni, Johnson arrivò alla Casa Bianca e si ritrovò privo di poteri. In poche settimane passò dall’essere uno degli uomini più potenti di Washington all’essere un taglia-nastri, uno la cui principale occupazione era stringere mani e sorridere nelle fotografie. Kennedy e i suoi non si fidavano di lui e lo tenevano ai margini dell’attività di governo.
Inoltre vi è la confessione del sicario mafioso James Files che si autoaccusò del delitto, affermando una cospirazione in cui vi erano lui, Charles Nicoletti, John Roselli, Jack Ruby e lo stesso Oswald; Files disse che avrebbe commesso materialmente il delitto con il complice Nicoletti: testimonianza invalidata perché risulta dai tabulati telefonici che Files era a Chicago il 22 novembre 1963 e non a Dallas. In questa teoria del complotto Oswald a volte viene scagionato, a volte invece coinvolto come fiancheggiatore o come tiratore di supporto. Il mandante viene individuato nel boss mafioso di Chicago Sam Giancana. Un'altra versione accusa altri killer al servizio dello stesso Giancana (Roselli e Salvatore Bonanno, quest'ultimo boss avrebbe rivelato tutto nelle sue memorie). La motivazione addotta sarebbe una ritorsione contro le politiche antimafia di Robert Kennedy, il Ministro della giustizia ("Procuratore generale") nel governo del fratello John, considerate un tradimento dopo che il padre Joseph P. Kennedy si era assicurato i voti della mafia italoamericana, grazie all'amicizia dei Kennedy con il cantante Frank Sinatra e il boss. Il complotto avrebbe avuto anche l'appoggio della CIA. Oswald sarebbe stato coinvolto in quanto squilibrato e fanatico castrista, per essere usato come capro espiatorio, e messo poi a tacere da Ruby.



In origine tutti i documenti relativi all'assassinio avrebbero dovuto restare secretati per settantacinque anni (fino al 2039), ma nel corso del tempo due nuove leggi, il Freedom of information Act del 1966 e il JFK Records Act del 1992, hanno permesso di pubblicare gran parte della documentazione. Gli ultimi documenti ancora segreti verranno pubblicati al più tardi nell'ottobre del 2017.

Articolo a cura della redazione di Collana eXoterica 


Tratto da : nocensura

Merkel contro tutti

Segnaliamo questo articolo di Paolo Cardena’ di Vincitori e Vinti, che in conclusione esterna il suo equilibrato e serio punto di vista sulla questione
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Se ben ricorderete, solo qualche settimana fa’, prima il Dipartimento del Tesoro USA e poi anche il FMI, avevano bacchettato la Germania circa l’enorme surplus corrente tedesco, adducendo che la salute dell’economia tedesca sarebbe troppo dipendente  da una quota   di export eccessiva,  che andrebbe ridotta e, al tempo stesso, si segnalava la necessità di aumentare la domanda interna, in modo che, anche gli altri paesi più deboli dell’europa  alle prese con un consolidamento fiscale di svariati punti di PIL, avrebbero potuto avvantaggiarsi del riequilibrio migliorando i rispettivi saldi commerciali.
Il sito Scenari Economici, aveva prodotto un articolo nel quale si segnalavano le parti salienti del rapporto del Dipartimento del Tesoro Usa. Ve lo ripropongo:
“La Germania ha mantenuto un largo surplus corrente attraverso tutta la crisi finanziaria dell’area euro e nel 2012 l’avanzo nominale della bilancia dei pagamenti è stato superiore a quello della Cina”. 
 La bocciatura e’ completa:“All’interno dell’area dell’euro, i paesi con ampi e persistenti eccedenze dovrebbero agire per stimolare la crescita della domanda interna e ridurre le eccedenze.” 
  Inoltre si accusa la Germania della crisi dei paesi periferici della zona Euro, e di una deflazione su scala mondiale:” Il Ritmo anemico di crescita della domanda interna tedesca e la dipendenza dalle esportazioni della Germania hanno ostacolato il riequilibrio in un momento in cui molti altri paesi della zona euro, che sono stati sottoposti a forti pressioni per ridurre la domanda e comprimere le importazioni, al fine di promuovere l’adeguamento. Il risultato netto è stata una deflazione per la zona euro, così come per l’economia mondiale.” 
 Gli Usa hanno sottolineato che l’anemica crescita della domanda interna tedesca e la sua dipendenza dalle esportazioni ha impedito un ribilanciamento in una fase in cui altri Paesi dell’area euro sono stati severamente sotto pressione e costretti a ridurre la domanda e a comprimere le importazioni per promuovere il riaggiustamento di bilancio. In particolare il tesoro sembra non gradire la riluttanza della Germania a far lievitare i salari e a usare la leva del debito per stimolare la domanda interna.Una forte crescita della domanda interna nelle economie europee in eccedenza , in particolare in Germania , contribuirebbe a facilitare un riequilibrio duraturo degli squilibri nella zona euro”. 
 Gli esperti del Tesoro restano scettici sulla capacità dell’Eurozona di risolvere i propri problemi a causa di una politica di austerity mentre servirebbe una politica anticiclica.“Restiamo preoccupati per il ritmo appropriato di consolidamento e per la necessità di fornire spazio a  politiche anticicliche, garantendo percorsi credibili per la sostenibilità fiscale nel corso di un periodo di tempo che è sensibile agli sviluppi congiunturali.”
  La paura statunitense è rivolta a una nuova crisi europea che potrebbe danneggiare la ripresa statunitense. “I rischi di battute d’arresto nelle politiche per affrontare le vulnerabilità delle economie periferiche e della struttura istituzionale della zona euro rimangono significativi.” Ulteriori tensioni potrebbero emergere dall’ incertezza politica e dal disaccordo all’interno dell’area dell’euro su come affrontare le nuove sfide per l’unione monetaria.”
  Il Tesoro USA conferma che la crisi 2010-2013 e’ una crisi essenzialmente legata agli squilibri delle partite correnti:” Nel medio termine, i ritardi nell’integrazione finanziaria, economica e fiscale potrebbe radicare le grandi disparità economiche che si sono sviluppate in tutta l’ area dell’euro, lasciando la regione vulnerabile a nuovi shock.” 
Gli USA bocciano senza appello la politica di austerity imposta dalla Germania ai parters in presenza di un ciclo negativo:” Una priorità chiave per l’area dell’euro è quello di consolidare e accelerare la ripresa della crescita, che sosterrà una riduzione degli oneri di debito pesanti, tassi di disoccupazione più bassi, e contribuire a mantenere il sostegno politico al processo di adeguamento all’interno del nucleo e la periferia.” 
In sintesi vedono piuttosto male i destini dei paesi periferici dell’Eurozona“La periferia si trova di fronte una maggiore incertezza sul trend di crescita a medio termine, viste le politiche legate al riequilibrio del bilancio, considetata la riduzione della leva finanziaria nel settore bancario , e gli sforzi per migliorare la competitività e la produttività.”
Qualche giorno  dopo, è stata la volta del Fondo Monetario Internazionale che, per bocca del suo vicedirettore DAVID LIPTON, ha affermato:
“Un conto corrente della Bilancia dei Pagamenti significativamente inferiore della Germania sarebbe auspicabile”“Un taglio dei disavanzi eccessivi nell’area dell’Euro non avra’ successo, a meno che la Germania riduca le eccedenze nel saldo commerciale”“la Germania deve avere una visione globale, per cui deve fissare un target per la riduzione del proprio saldo commerciale”
E queste sono le posizioni del tutto irrituali prese sia dal Governo Usa che dal FMI, mentre, in casa nostra, dal mondo della politica, tutto taceva e continua a tacere.
Ovviamente, la risposta della MERKEL non si è fatta attendere e, secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, la Merkel avrebbe affermato:
La Germania «è riuscita a uscire bene dalla crisi e ora è sotto sorveglianza a Bruxelles per l’entità del suo surplus commerciale. Possiamo vedere come sono i trend dei consumi e della produzione nel Paese, ma sarebbe assurdo ridurre la produzione e la qualità dei nostri prodotti per andare incontro alle richieste di Bruxelles».
Lo ha detto il cancelliere tedesco, Angela Merkel, aprendo a Berlino il Fuehrungstreffen Wirtschaft 2013 organizzato dal quotidiano Sueddeutche Zeitung. «Non è possibile assolutamente – ha detto Merkel, suscitando l’ovazione dalla platea – ridurre artificialmente il grado di competitività raggiunta dalla Germania» e, per questo, sarebbe meglio «non porsi il problema guardando soltanto le cose dal punto di vista europeo ma guardare anche alle grandi sfide della competitività a livello globale, andando al di là dei nostri confini».
Il surplus delle partite correnti della Germania nell’eurozona, «il nostro squilibrio nell’eurozona, è molto, molto piccolo, inferiore al 3%. Ciò mostra che abbiamo una situazione molto equilibrata» ha continuato Merkel.
«A volte sorprende il tenore di certe discussioni» dice Merkel riferendosi a quelle su un eccessivo rigore tedesco. «Abbiamo un debito a circa l’80%» a fronte di un obiettivo, dei Trattati, al 60%: «Non facciamo altro che lavorare per rientrare, in circa 10 anni, nei parametri cui siamo vincolati». Il riferimento è alle critiche da Bruxelles, ribadite ancora stamane dal commissario Olli Rehn: la Germania deve far aumentare la domanda interna e la spesa per i servizi.
Merkel intanto deve gestire anche i nuovi alleati e per questo annuncia d’essere pronta ad introdurre un salario minimo garantito a livello nazionale, venendo incontro alle richieste dei futuri partner di coalizione socialdemocratici. Merkel spiega che i socialdemocratici «non avrebbero concluso» i negoziati sulla futura coalizione di governo «senza un salario minimo garantito universale». Aggiunge poi che il suo partito si è opposto a questa proposta e farà di tutto per evitare che la sua introduzione produca delle perdite occupazionali.
Cosa trarne? Cosa concluderne?
1) La Merkel, da parte sua, fa benissimo a difendere le ragioni della Germania e della sua economia. Cosa che qualsiasi statista degno di appellarsi tale dovrebbe fare. Italiani in primis. Ma siccome i nostri “statisti” non sono tali e per di più sono asserviti agli interessi estranei a quelli degli italiani, è logico attendersi il protrarsi della deriva che sta vivendo il Paese, che, presto o tardi, porterà alla distruzione.
 
2) Se si pone come condizione essenziale (come in effetti si pone) che, per il buon funzionamento di un’area monetaria comune, occorre una maggiore integrazione fiscale, politica ed economia tale da colmare gli squilibri economici esistenti tra i vari paesi che compongono l’area, anche attraverso sostegni solidaristici o trasferimenti tali da favorire una maggiore convergenza, una maggiore unione, una maggiore coesione, semmai ce ne fosse ancora bisogno, questa è l’ennesima prova che l’euro, così come concepito, non ha più ragione di esistere, né potrebbe. Tanto più che la stessa Germania si avvantaggia ulteriormente delle stesse misure di austerità che essa stessa comanda, senza però concedere alcunché in termini di maggiore solidarietà e sostegno nel sanare le divergenze strutturali degli altri paesi che si stanno dissanguando per raggiungere un miraggio che non esiste nei fatti.
 
3) Il grado di competitività di cui parla la MERKEL, altro non è che il rovescio della stessa medaglia. Nel senso che  alla competitività tedesca, contribuisce anche un cambio inferiore rispetto a quello che sarebbe altrimenti il Marco, tenuto a livelli più bassi grazie alla debolezza delle economie periferiche che, invece, ne subiscono una forza non rappresentativa delle rispettive strutture economiche. Per essere ancora più chiari, spesso, da parte di molti esponenti, si sente affermare che la svalutazione sarebbe qualcosa di immorale o deplorevole. E lo sarebbe se a farla, magari, ove fosse possibile per via di un ritorno alle valute nazionali, fosse l’Italia, la Spagna, la Grecia o chicchessia. La Germania, attraverso l’unione monetaria, rinunciando alla propria valuta e adottando l’euro, altro non ha fatto che rinunciare ad una valuta forte (il Marco) per dotarsi di una valuta, per i tedeschi,  debole (l’euro), svalutata rispetto alla forza della propria economia e rispetto a quello che sarebbe stato altrimenti il Marco. Ecco che non sempre quello che potrebbe sembrare immorale per qualcuno, specularmente, sia da considerarsi morale per qualche altro.
 
4) Coloro che vanno nei salotti televisivi (e la lista è lunga) ad affermare che per risolvere la crisi occorre “più Europa”, o sono in malafede o non sanno di cosa stanno parlando. Delle due, l’una. E non sono così sicuro che non sia la prima. La Germania, magari a ragione o per interesse, del “più Europa” non vuole saperne e non può fregargliene meno, per il semplice motivo che da questa situazione ne trae un enorme vantaggio. Ecco spiegato l’immobilismo che è stato osservato dagli eurocrati nella gestione della crisi. Il non decidere o il ritardare la decisione, consente di monetizzare un vantaggio che, altrimenti, rischierebbe di essere inferiore in virtù della decisione da adottare. E ovviamente il vantaggio è a favore dei paesi più solidi e forti che avrebbero dovuto assumere la leadership di una unione politica, ma che rifiutano per propria convenienza.
 
Ormai, non è più un discorso di essere ideologicamente europeisti, nazionalisti o che diamine volete; o di essere contro o a favore dell’euro. Occorre solo prendere atto che non c’è nulla che possa essere fatto per sanare un sistema e un architettura che non funzione ad origine e che fa acqua da tutte le parti. Anzi, qualcosa si può fare: occorre  pensare solo  come portare a casa al pelle, e  poterlo fare in modo più sollecito possibile

martedì 19 novembre 2013

GUERRA A QUESTA EUROPA!

Siete venuti a combattere da uomini liberi, e uomini liberi siete: senza libertà cosa farete? Combatterete? Certo, chi combatte può morire, chi fugge resta vivo, almeno per un po’… Agonizzanti in un letto fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere l’occasione, solo un’altra occasione di tornare qui sul campo ad urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai la libertà! (William Wallace)
…la libertà di decidere!
Questa non è l’Europa che sognavo, questa non è l’Europa che sognava il mio Alcide DeGasperi, questo è solo un terribile sbaglio, un castello di carta straccia, di monete e capitali che ha dimenticato il suo popolo, le sue tradizioni, ii suoi valori, questa non è la mia Europa!
Ho scritto per anni che ormai la plutocrazia mondiale ed soprattutto europea, la finanza hanno sequestrato il futuro delle Nazioni, soprattutto quello delle future Generazioni.
Certo ci sarà sempre qualche oca giuliva che sosterrà che sto esagerando, sto enfatizzando, che questo è populismo, demagogia, ma purtroppo oggi questa è la realtà!
La notizia della scorsa settimana è senza dubbio quella che riguarda il fallimento del governo italiano, tra una ripresa in fondo al tunnel e l’altra, con massicce dosi di ottimismo che puntualmente vengono distrutte dai killer burocrati europei, sulla base della semplice realtà, senza alcuna flessibilità ma badate bene SOLO PER NOI!
Dopo aver massacrato il Paese di tasse e deflazionato i salari, massacrato il lavoro e i consumi, in n ome di questa Europa…
(ASCA) – Bruxelles, 15 nov – ”Per usufruire della clausola per gli investimenti ci sono delle regole, che il governo italiano e il ministro Saccomanni conoscono”. La clausola ”puo’ essere attivata nel caso in cui siano rispetti gli obiettivi di deficit e debito, e l’Italia ha rispettato gli impegni di deficit ma non quelli di debito”. Cosi’ il commissario europeo per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn, nella conferenza stampa di presentazione delle opinioni sui progetti di legge di stabilita’ 2014 dei paesi dell’Eurozona. Rehn chiede quindi al nostro paese ”una riduzione del debito pubblico nel 2014 e uno sforzo fiscale dello 0,5% del Pil”.
Ci sono delle regole ? Ma stiamo scherzando, tu rispetti un impegno il deficit, suoni la grancassa per raccontare all’Europa intera che il premio sono qualche miliarduccio da destinare agli investimenti e poi all’improvviso ti inventi che gli obiettivi non verranno centrati perchè il debito è salito soprattutto grazie alle politiche criminali imposte da Monti e dall’Europa, deflazionando salari, distruggendo lavoro, massacrando consumi e polverizzando la produzione industriale?
Bene e allora quale è la soluzione?
Eccola qua , qualche imbecille in questo Paese pensa bene di svendere assets in mezzo ad una depressione economica!
Eccoli qua i liquidatori d’Europa, liquidatori d’Italia…
“Per quanto riguarda la vendita di beni pubblici, da quanto ho capito il governo punta ad accelerare la privatizzazione e la vendita di asset pubblici e certamente, considerando l’alto livello del debito italiano, queste sono misure importanti e appropriate”. Lo ha detto il commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, intervistato da SkyTg24 
Sul Sole 24 Ore il cantastatorie di sistema Folli ci racconta che per Letta …  Del resto anche con l’Europa il rapporto è increspato, come si è visto nella vicenda degli appunti mossi dal commissario Olli Rehn al nostro governo. Occorrono nervi saldi per superare senza danni questa fase: nervi saldi e l’intelligenza di prendere misure chiare, ancorché impopolari.
Non nervi saldi e coraggio per rispondere a tono a questi scribacchini europei, psicopatici incompetenti che hanno permesso al FMI e alla Troika di somministrare ai pazienti cure da cavallo fallimentari, come del resto avvie in tutto il mondo in nome di un turbocapitalismo rapace e distruttivo, per permettere alla plutocrazia mondiale di saccheggiare Stati e contribuenti, ma per avere l’intelligenza di prendere misure impopolari!
Chi ha orecchie per intendere intenda, gli altri tutti davanti al televisore a vedere “Che tempo fa” …
Nel fine settimana finalmente l’Italia ha trovato nuovi cuori impavidi, Angelino Wallace, insieme con i prodi Schifani, Formigoni, Cicchitto e Giovanardi, il nuovo che avanza ha costituito il nuovo centro destra, il nuovo ospizio politico nazionale. Nel frattempo nel pollaio piddino si svegliano anche i galli e si accorgono che forse è meglio suggerire all’amica di Ligresti di lasciare un incarico sensibile e delicato come quello del guardasigilli.
In America mentre gli psicopatici tonnaroti di Wall Street hanno addocchiato tonni a quota 1800/1820  i dati relativi alle vendite di abitazioni saranno sicuramente inferiori alle previsioni, alcuni dati in arrivo dal settore manifatturiero fanno intravvedere quello che accradrà nel primo semestre del prossimo anno, alla salute di Zio tapering mentre ci pensa la natura con 76 tornadi a ricondurre tutti alla realtà!
Saranno settimane interessanti contatteci, un paio di settimane e poi le svendite di Natale da non perdere, l’ultima occasione dell’anno!
L’uovo di Colombo, l’ ennesima conferma che abbiamo scelto la rotta giusta è in viaggio, per tutti coloro che hanno sostenuto o vorranno sostenere liberamente il nostro viaggio.

Tratto da : icebergfinanza

sabato 16 novembre 2013

Un Golpe Chiamato Euro (di Giuseppe Guarino)

Se la moneta unica fosse tecnicamente un “colpo di stato” contro paesi membri e cittadini? Per non cadere dal pero, saggio (a puntate) del giurista Guarino

 
Pubblichiamo un saggio di Giuseppe Guarino, già ordinario di Diritto pubblico alla Sapienza di Roma, già ministro delle Finanze (1987) e dell’Industria (1992-’93).
La tesi del professore è che all’origine della moneta unica si sia realizzato un “colpo di stato”, attraverso un preciso regolamento comunitario, il numero 1466/97. Approfittando della fortissima volontà dei governi del tempo di superare a tutti i costi “l’esame” – sul fronte dei conti pubblici, per esempio –  necessario a entrare nella nuova area valutaria, la Commissione fece approvare infatti un regolamento che avrebbe vincolato in maniera decisa le leve della politica economica fino ad allora in mano agli stati membri. 

Il ragionamento di Guarino è lungo ma non oscuro, narrato con stile piano, a disposizione – per volontà dello stesso autore – di chi lo volesse confutare. Qualcuno potrebbe sostenere, forse non a torto, che non di soli formalismi giuridici è costituito il processo d’integrazione europea. Ciò detto, è un fatto che pezzi d’establishment guardino con ansia crescente alle prossime elezioni europee, ritenute facile terreno di caccia per “populisti” anti moneta unica. Ieri pure l’agenzia di rating Moody’s ha parlato di rischi “non trascurabili” che in Italia “i partiti anti-euro prendano il potere con un programma di uscita dall’euro”. Guarino obbliga a confrontarsi con una lettura critica ma acuta, nient’affatto dozzinale, del tipo di mentalità dominante nella storia dell’integrazione europea. A meno di non accontentarsi di vivere in un’èra in cui tutte le vacche sono populiste, buona lettura.
 
Una espressione usata anche in atti formali, compreso il molto recente cosiddetto Fiscal compact (art. 1, comma 1) è quella di “Unione economica e monetaria” (Uem). L’Unione monetaria non è stata realizzata. L’Unione economica non è stata creata. Le monete circolanti con “valore legale” nell’Unione erano tredici al 1° gennaio 1999, data del lancio. Una, l’euro, moneta comune di undici stati. La sterlina e la peseta, “monete nazionali”. Oggi le monete sono dodici, di cui una, l’euro, moneta comune, undici, monete nazionali.
 
L’Unione economica non è stata creata. L’Atto unico europeo (Aue) e il Trattato dell’Unione europea (Tue), che sono i due Trattati ai quali ne viene attribuito il merito, si sono limitati a creare un “mercato unico”. E’ un grande spazio economico nel quale si applicano, come dominanti, i principi della libera iniziativa privata (libertà di impresa) e della più ampia apertura. Oggi la maggior parte dei rapporti economici del globo sono retti da discipline ispirate ai medesimi principi della libera iniziativa privata, quindi della libertà di impresa, in un mercato aperto. Si è costruito a livello quasi mondiale un mercato “unico”. Nessuno lo definirebbe “Unione economica”.
 
Il “mercato comune” formò oggetto precipuo dell’Aue, integrato successivamente dal Tue. Il Tue ha disciplinato oggetti nuovi, in modo particolare ha dettato una disciplina generale sull’attività economica e sui bilanci degli stati, quindi implicitamente sulla moneta comune.
Alle norme che avrebbero influito sulla concretizzazione della “moneta comune” si pose mano negli ultimi mesi di discussione sul Tue. A quel punto molti capisaldi della disciplina della moneta erano stati già fissati. La moneta sarebbe stata comune non a tutti gli stati dell’Unione, ma solo a quelli che si sarebbero assoggettati alla sua specifica disciplina. La decisione scaturì dalla indisponibilità del Regno Unito a rinunciare alla sua storica moneta, la sterlina. L’Unione, senza il Regno Unito, sarebbe nata monca. Fu concessa al Regno Unito la clausola dell’“opting out”. Avrebbe potuto aderire all’euro, dimostrando di averne i requisiti, in qualsiasi momento successivo. Concessa al Regno Unito, la clausola non poté essere negata alla Danimarca. Fu concessa di fatto, in assenza di deroga formale, alla Svezia, il primo paese ad aderire all’Ue, dopo la stipula del Trattato. L’art. 109 k) ha finito per contemplare due distinte categorie di paesi membri, quelli ammessi all’euro, denominati senza deroga, e quelli che continuano ad avvalersi della propria moneta, denominati “paesi con deroga”. L’art. 109 k) indica gli articoli del Tue che si applicano ai soli paesi senza deroga.
 
Come il Regno Unito aveva dichiarato che non avrebbe rinunciato alla sterlina, così la Germania precisò che avrebbe aderito all’Unione e alla moneta unica solo se questa fosse risultata simile al marco. Il marco era la moneta storica della Germania. In attuazione di un indirizzo politico assunto sin dall’inizio, il governo federale coadiuvato dalla Bundesbank si attenne con rigore a criteri antinflazionistici per garantire duratura stabilità al valore della moneta, e conseguentemente uno sviluppo armonioso, equilibrato, continuo della economia. L’obiettivo della stabilità della moneta comportava, nelle valutazioni di Otto Pöhl, presidente della Bundesbank, condivise da Jacques Delors, presidente della Commissione, e poi dai rappresentanti di tutti gli altri paesi, che venissero fissati limiti all’indebitamento di ciascuno stato membro nelle percentuali, rispetto al pil, del 3 per cento nell’indebitamento annuale, del 60 per cento nel debito totale. Al dibattito finale presero parte attiva le delegazioni italiana e britannica.
 
Prima che ci si accordasse sulle caratteristiche della moneta, erano state concordate misure che avrebbero condizionato l’intera architettura del sistema. Gli stati avrebbero partecipato all’Unione conservando il loro carattere sovrano. Avrebbero ceduto non la sovranità, ma l’esercizio della stessa, in ambiti vasti, che sarebbero stati predeterminati. Le competenze dell’Unione sarebbero state solo quelle specificamente contemplate dal Trattato. Le risorse dell’Unione sarebbero state, oltre i ricavi dei dazi esterni e di poche altre entrate, quelle trasferite all’Unione dagli stati (definite “proprie”). Il bilancio dell’Unione sarebbe dovuto risultare ogni anno in pareggio. Ne discendeva che l’Unione non avrebbe potuto indebitarsi. Nelle materie di sua competenza, l’Unione avrebbe emesso regolamenti e direttive, con efficacia vincolante diretta negli stati membri. Norme del Tue, integrative dell’Aue, avrebbero vietato aiuti di stato ed evitato la formazione di posizioni dominanti nel mercato.
L’Aue aveva consacrato la libertà di movimento, oltre che delle merci, delle persone, del diritto di stabilimento e anche dei capitali, compresi quelli a breve. L’Unione avrebbe promosso la liberalizzazione del commercio internazionale con abbattimento generalizzato dei dazi doganali. La direttiva Ue, avente ad oggetto la libera circolazione dei capitali a breve, era stata adottata dalla Commissione e recepita dai paesi membri ancora prima del completamento del disegno dell’Unione.
 
Questo è il quadro, contenente un numero elevato di punti fermi, nel quale le delegazioni si accinsero a inserire le norme che in modo diretto o indiretto avrebbero caratterizzato la nuova moneta. La disciplina avrebbe dovuto conformarsi a quella del marco in tre aspetti fondamentali.
 
a) Avrebbe dovuto essere diretta all’obiettivo di promuovere una crescita rispondente alle caratteristiche fissate nell’art. 2 Tue. Una crescita cioè “sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l’ambiente, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra stati membri”.
 
b) Il compito di provvedere allo sviluppo sarebbe spettato distintamente a ciascuno stato, il quale vi avrebbe provveduto nell’interesse proprio e dell’Unione, con la propria politica economica (artt. 102 A, 103 Tue).
 
c) Agli stati avrebbero dovuto essere attribuiti mezzi e/o strumenti necessari per il perseguimento dell’obiettivo della crescita. Qui i progettisti (gli “architetti del sistema”) dovettero constatare che la generalità dei mezzi adoperati dagli stati esterni all’Unione europea, cioè dalla generalità dei futuri competitori, era di fatto preclusa da punti fermi non più modificabili. I quali peraltro, in dipendenza delle preclusioni introdotte, indicavano l’unica strada rimasta libera, che sarebbe stato quindi necessario percorrere, quella dell’indebitamento. Se esistono fattori valorizzabili e non si dispone di risorse da investire, il ricorso all’indebitamento è indispensabile per cogliere le occasioni favorevoli. Potrebbero non più ripetersi.
 
Qualora il sistema, nel suo funzionare in modo fisiologico non produca risorse, se ci si preclude ogni possibilità di cogliere occasioni produttive, è la crescita a essere ostacolata. All’indebitamento va fatto ricorso nel rispetto della “golden rule”. L’investimento frutto dell’indebitamento deve, secondo una previsione ragionevole, produrre profitti in misura superiore al suo costo. Diversamente si avrebbe crescita del debito e del suo costo complessivo. I valori del 3 per cento per l’indebitamento e del 60 per cento per il debito totale, riferiti al pil, potevano basarsi, al tempo in cui furono adottati, sulla esperienza pluridecennale di grandi economie (quella tedesca e anche quella degli Stati Uniti). Furono approvati: 3 e 60 per cento costituivano il limite che avrebbe garantito la “stabilità” della moneta e della economia.
 
Qui si inserì la proposta della delegazione italiana, appoggiata dagli inglesi. Guido Carli, ministro del Tesoro e capo della delegazione, la attribuisce nelle sue memorie (“Cinquant’anni di vita italiana”, edizioni Laterza) alla propria “caparbietà”. Non si potevano far dipendere le sorti di una economia dalle condizioni che sarebbero state accertate in date prefissate. Avrebbero potuto essere sconfessate dalla notte al mattino, potevano dipendere da cause eccezionali, avrebbero potuto in ipotesi costituire il frutto di dati inesatti. Furono così approvati tre emendamenti, due dei quali hanno formato oggetto degli alinea della lett. a) del n. 2, l’altro della lett. b) dell’art. 104 c). Nella sua redazione definitiva, l’art. 104 c), n. 2, ha stabilito che l’esame della conformità alla disciplina di bilancio dovesse avvenire “sulla base” di due criteri, di cui uno alle lett. a) e b) dello stesso n. 2. Ai due criteri bisogna dunque attenersi nella interpretazione e applicazione dei valori di riferimento. Negli emendamenti accolti si fa obbligo di tenere conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee che potessero avere provocato il superamento.
 
Agli architetti del sistema era stato attribuito il compito di realizzare a mezzo di norme astratte una moneta corrispondente al marco, che garantisse ai paesi membri e quindi all’Unione uno sviluppo duraturo, armonioso, sostenibile, corrispondente a quello realizzatosi in Germania negli antecedenti quaranta anni. Gli architetti si attennero al modello. Hanno assolto il compito assegnato in modo puntuale. Disegnarono un progetto la cui attuazione avrebbe potuto e dovuto garantire una crescita duratura e sostenibile. Protagonisti ne sarebbero stati gli stati membri, vincolati all’obiettivo della crescita. Gli stati avrebbero prodotto crescita nell’esercizio della più tipica espressione della attività politica, la politica “economica”. Gli architetti erano consapevoli che a favore della crescita, avrebbero concorso gli effetti benefici di due fattori produttivi: l’abolizione fisica delle dogane, cui gli studi preparatori avevano accreditato una influenza sulla crescita nella misura dal 2 al 6 per cento a seconda della collocazione dello stato, e l’eliminazione dei costi di transazione tra i paesi aderenti alla moneta comune, che a sua volta avrebbe dovuto produrre un più 0,7 per cento ad anno nella crescita.
 
Si aggiungeva ora il potere politico di indebitarsi sino ai limiti di cui al prot. n. 6, da interpretarsi e applicarsi secondo i criteri vincolanti di cui all’art. 104 c) Tue. Avrebbe dovuto essere sufficiente.
Fin qui la disciplina formale della moneta. Il passo successivo consistette nel prevedere una fase transitoria diretta a creare condizioni di sufficiente omogeneità tra i paesi membri ammessi all’euro ed evitare che, avvenuto il passaggio alla terza fase, quella “a regime”, i più forti prevalessero sui più deboli. La disciplina della fase transitoria della omogeneizzazione è contenuta nel protocollo n. 6. Furono assunte a riferimento le medie attinenti ai due aspetti più rilevanti (tassi di inflazione, tassi dei titoli a lungo termine) dei tre stati migliori. Sarebbero stati consentiti divari dal modello entro margini prestabiliti (1,5 punti per il tasso di inflazione; 2 punti nel tasso di interesse a lungo termine). Anteriormente al 1° luglio 1998 si sarebbe tenuto uno scrutinio con il quale, nel rispetto di un’apposita procedura, si sarebbero valutati i risultati raggiunti e sarebbero stati ammessi all’“euro” i paesi che avessero soddisfatto le condizioni prescritte. Lo scrutinio si tenne il 3 maggio 1998. Undici stati superarono lo scrutinio. Il dodicesimo (la Spagna) fu inquadrato tra gli stati con deroga. Sarebbe stato ammesso tra quelli senza deroga l’anno successivo.
 
L’espressione “colpo di stato” viene usata quando si modifica in aspetti fondamentali il sistema costituzionale di uno stato, con violazione delle norme costituzionali vigenti. Il colpo di stato viene attuato con maggiore frequenza con la forza. Nei tempi più antichi uccidendo, anche con il veleno, il sovrano. Il 1° gennaio 1999 un colpo di stato è stato effettuato in danno degli stati membri, dei loro cittadini, e dell’Unione. Il “golpe” è stato realizzato non con la forza, ma con fraudolenta astuzia. L’affermazione può apparire “stupefacente”. Obiettivamente lo è. La assoluta incredulità è una reazione del tutto naturale e comprensibile.
 
Per la dimostrazione occorre indicare:
a) quali sono i poteri costituzionali degli stati membri e quali gli aspetti fondamentali del diritto dell’Unione che hanno formato oggetto del “golpe”; 
b) con quali atti il “golpe” è stato realizzato e quali ne sono stati gli autori; 
c) in cosa sono consistite le astuzie fraudolente, alle quali si è fatto riferimento.
 
a1) Si risponde separatamente per gli stati membri e per l’Unione. Il Tue non contempla alcuna procedura specifica per le sue variazioni. In quanto Trattato multilaterale di diritto internazionale, sarebbe stato un dovere dell’Unione che i suoi organi competenti lo rispettassero e lo facessero rispettare. Non avrebbero dovuto consentire che modifiche di aspetti fondamentali del sistema si producessero in assenza di un nuovo Trattato. La disciplina introdotta con fraudolenza formò invece oggetto di un regolamento previsto dal Trattato in funzione di un unico e specifico compito. Adottare indirizzi di massima al fine del coordinamento delle “politiche economiche” degli stati membri (artt. 102 A, 103, Tue). Il diritto costituzionale degli stati membri è stato violato perché non sono state osservate le norme costituzionali interne da osservarsi nella ratifica dei Trattati. La sovranità degli stati membri è stata vulnerata perché è stata loro sottratta la funzione “esclusiva” da esercitarsi, singolarmente e come gruppo, di promuovere lo sviluppo dell’Ue e della zona euro con le proprie “politiche economiche”. La costituzione degli stati è stata violata perché sono stati imposti ai loro organi interni obblighi e condotte che i rispettivi ordinamenti costituzionali non contemplano.
 
b1) Il golpe è stato attuato a mezzo del regolamento 1466/97. Per la formazione del regolamento, come si è detto, si è fatto ricorso alla procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) Tue che, nello stesso momento in cui è stata utilizzata, è stata anche violata perché ce se ne è avvalsi per uno scopo diverso dall’unico previsto. La procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) Tue in nessun modo avrebbe potuto essere impiegata per modificare norme fondamentali del Trattato. L’essersene avvalsi configura una ipotesi non di semplice illegittimità, bensì di incompetenza assoluta. Gli atti adottati sono di conseguenza non illegittimi, ma nulli/inesistenti.
 
b2) Le persone fisiche, alle quali far risalire l’attuazione del golpe e dei mezzi fraudolenti per realizzarlo sono ignote. Non si conosce né chi ne sia stato l’ideatore, né il nome dell’estensore materiale del testo del regolamento. Una inchiesta del Parlamento europeo potrebbe ancora identificarli. La responsabilità formale del “golpe” è dei membri della Commissione e dei titolari degli organi dell’Unione e dei governi dei paesi membri che parteciparono in ciascuna delle fasi alla procedura di formazione del regolamento 1466/97.
 
c1) Gli assetti fondamentali, modificati illegalmente dal reg. 1466/97, sono diversi per l’Unione e per gli stati membri. Quanto all’Unione è stato modificato, in modo radicale e irreversibile, l’obiettivo principale, consistente (artt. 2 e 3 Tue) nel conseguimento di uno sviluppo dalle caratteristiche e secondo le modalità previste nei suddetti articoli e nell’aver abrogato, per avere regolato in modo diverso la intera materia, l’art. 104 c) Tue, contenente la disciplina dei mezzi di cui gli stati si sarebbero potuti avvalere per l’adempimento all’obbligo di promuovere sviluppo.
Quanto agli stati, l’illecita variazione consiste nell’averli privati, con l’abrogazione degli artt. 102 A, 103, 104 c) Tue, nonché di altri connessi, a mezzo di norme (quelle del reg. 1466/97) regolanti in modo diverso l’intera materia, degli unici poteri politici ad essa attribuiti in funzione alla conduzione economica dell’Unione.
 
c2) Il reg. 1466/97 malgrado la sua apparente innocenza, oltre a modificare la disciplina di vertice dell’Unione e degli stati, ha inciso sul carattere fondamentale dell’Unione, in assenza del quale gli stati non sarebbero stati legittimati a parteciparvi, quello della “democraticità”. E’ l’affermazione che tra tutte genera la massima incredulità.
 
Tutto ha origine dal sospetto di alcuni degli stati più forti che qualcuno dei più deboli, per superare lo scrutinio, si sarebbe avvalso di dati non veritieri. E’ ipotizzabile che a ciò si debba l’origine del reg. 1466/97. Sarebbe stato il rimedio ove effettivamente qualcuno degli stati membri fosse riuscito a superare lo scrutinio senza averne il diritto. Il rimedio non avrebbe condotto alla guarigione. Avrebbe prodotto danni gravi. Dimostratisi poi irreversibili.  Va aggiunto che a fine 1996 gli andamenti delle economie degli stati membri suscitavano preoccupazioni. Il rapporto debito/pil negli stati principali era cresciuto a un livello e con rapidità non previsti. Il debito francese dall’iniziale 35 per cento in rapporto al pil era passato al 58,7 per cento, quello tedesco dal 40 al 59,8 per cento, quello italiano dal 100,8 al 116.8 per cento. Era stato preventivato che nella fase transitoria vi sarebbe stato un rallentamento del pil. Ma si registrava un deterioramento superiore alle previsioni. Si dubitò della effettiva capacità delle norme a realizzare gli obiettivi assegnati, in particolare sulla effettiva corrispondenza della nuova moneta al vecchio marco. Si pensò di superare ogni incertezza, rafforzando la “stabilità”, assumendola a oggetto di un vincolo di carattere generale. A maggior ragione la dimostrazione della soppressione del regime democratico dovrà essere analitica e precisa nei dettagli. Riceverà conferma dagli effetti concretamente prodottisi.
 
In cosa è consistito il disegno “fraudolento” che ha portato alla approvazione del reg. 1466/97? La procedura utilizzata non era stata mai impiegata e non avrebbe mai più potuto esserlo nella sua portata originaria in quanto con il reg. 1466/97 sono state cancellate le “politiche economiche” degli stati che della disciplina degli artt. 102 A e 103 del Tue costituivano il presupposto.
La procedura del regolamento era iniziata nel novembre 1996. Il primo atto pubblicato è apparso sulla Gazzetta ufficiale del 6 dicembre di quell’anno. A quel tempo l’attenzione degli stati membri era concentrata sullo scrutinio di ammissione all’euro, che avrebbe dovuto tenersi entro il 31 dicembre 1996 (art. 109 J). Era stato poi rinviato al 1998. La nuova moneta suscitava grandi speranze. Non si prestò attenzione al reg. 1466/97. Era un atto che non incideva sullo scrutinio. Riguardava il periodo successivo. Il testo ne prevedeva l’entrata in vigore al 1° luglio 1998. Ce se ne sarebbe occupati quando fosse venuto il suo tempo, sempre che si fosse superato lo scrutinio. Il testo del regolamento era scritto in modo rassicurante. Prometteva (art. 3, n. 1) una crescita vigorosa, sostenibile e favorevole alla creazione di posti di lavoro. A voler essere pignoli, il vigore era qualcosa di più e di diverso di quanto l’art. 2 Tue esigeva e prometteva.
 
La procedura del reg. 1466/97 si è chiusa con la deliberazione del Consiglio del 7 luglio 1997. Gli stati partecipavano al Consiglio con un rappresentante a livello ministeriale abilitato a impegnare il rispettivo governo (art. 146 Tue). Gli stati se potevano essere giustificati per non avere prestato sufficiente attenzione al testo del regolamento alla data, anteriore al novembre 1996, della prima delibera del Consiglio, nel 1997 non avrebbero potuto disinteressarsi della sorte che li attendeva una volta superato lo scrutinio. Non è avvenuto. E’ lecito il sospetto che vi abbia influito la sapiente scelta delle date.
 
L’adozione del regolamento avvenne il 7 luglio 1997. Era il tempo in cui la Commissione avrebbe cominciato a esaminare la documentazione presentata dagli stati ai fini dello scrutinio. Il 25 marzo 1998 la Commissione formulò la proposta per l’ammissione di undici stati sui dodici aspiranti. La Spagna sarebbe stata rinviata all’anno successivo. Il Consiglio, nella composizione di capi di stato o di governo, fece sua la proposta della Commissione. Il reg. 1466/97 fissava (art. 13) esso stesso la data della sua entrata in vigore al 1° luglio 1998. Per quale ragione se ne era richiesta l’adozione da parte degli stati prima che venisse effettuato lo scrutinio e se ne conoscesse l’esito se il regolamento avrebbe dovuto e potuto applicarsi solo agli stati ammessi?
“Caro stato membro – sembra sentire che la richiesta di adesione quasi sussurrasse – se non firmi subito, il consenso all’ingresso nell’euro potrebbe essere problematico”. Un ricatto frutto della casualità delle date o intenzionale?
 
Alla base di ogni moneta vi è sempre una disciplina giuridica. Può essere quella propria di un regime di mercato, quella di un regime di stampo collettivista, o quella di una economia mista. Queste tipologie, diverse tra loro, hanno un elemento in comune. Alla gestione della moneta è sempre preposta una autorità politica facente parte dell’organismo di vertice. Nei regimi di mercato l’autorità politica è coadiuvata dal responsabile della Banca centrale. L’euro costituisce il primo esempio di una moneta in cui, secondo la disciplina del Trattato, vertici politici, pur partecipando alla gestione della moneta, non ne avrebbero avuto la responsabilità esclusiva. Avrebbe avuto parte nella gestione e vi avrebbe esercitato un ruolo dominante, una disciplina astratta. La specificità della nuova moneta, l’euro, sarebbe stata desumibile dalla disciplina alla quale il Tue l’assoggettava.
 
Il 1° gennaio 1999 è stata immessa sui mercati la moneta disciplinata dal reg. 1466/97.Se si accerterà che la disciplina del regolamento è diversa, anzi opposta rispetto a quella del Tue, bisognerà concludere che l’euro circolante dal 1° gennaio 1999 è un’altra moneta rispetto a quella del Trattato. Questa nuova moneta usa il nome e i simboli di quella voluta dal Trattato. La moneta disciplinata dal Trattato è l’unica “autentica”. Non essendo avvenuto il suo lancio né alla data stabilita, né in qualsiasi altra successiva, l’“euro autentico” è una moneta mai nata. Quella che usurpa il suo nome, e che è stata presentata come se fosse quella del Trattato e in quanto tale accettata nei mercati, è una moneta falsa che, nascoste le proprie natura e identità, si appropria di quelle dell’euro autentico. 

Fonte : scenarieconomici 

mercoledì 13 novembre 2013

L’Eurozona è un’area valutaria ottimale? Una critica alla teoria delle AVO

Per affrontare la questione sul se l’Eurozonasia o meno un’area valutaria ottimale, vogliamo cercare di capire, per sommi capi, se la stessa teoria delle aree valutarie ottimali abbia un qualche fondamento logico ed empirico. Nell’articolo Che cos’è un’area valutaria ottimale? abbiamo dato un’idea generale dei requisiti che vari economisti,Mundell in primis, hanno stabilito affinchè un’area valutaria possa essere definita ottimale.
La teoria delle aree valutarie ottimali basa le sue fondamenta sulla scuola di pensiero denominata sintesi neoclassica, secondo la quale il livello di domanda aggregata, nel lungo periodo, si adegua al livello di produzione tramite la variazione dei prezzi relativi (merci e fattori produttivi). La domanda aggregata determina il livello di produzione esclusivamente nel breve periodo (nei cicli economici), con ciò riprendendo l’idea keynesiana della centralità della domanda.

La flessibilità di prezzi e salari

Il principale criterio che un’area valutaria ottimale dovrebbe soddisfare risiede nella piena capacità dei salari monetari e dei prezzi di scendere verso il basso. A seguito di shock asimmetrici (vedi qui per avere una definizione di shock asimmetrico) che colpiscono una regione dell’area, i quali comportano un calo della produzione e dell’occupazione nella regione colpita, salari monetari flessibili verso il basso condurrebbero ad una diminuzione dei prezzi, un aumento delle esportazioni della regione colpita e dunque ad una maggiore produzione e occupazione, grazie ad un cambiamento delle preferenze dei consumatori. Un’altra via tramite la quale la riduzione dei salari monetari conduce ad un aumento della produzione e dell’occupazione è il più complicato effetto Keynes, (la cui paternità non è da attribuire a Keynes) focalizzato sulla domanda interna.

Salari che scendono = maggiore occupazione?

L’idea che i salari siano flessibili è stata messa in discussione nel ’93 da Krugman. Non solo, se anche lo fossero, aggiungiamo noi, non vi è alcuna ragione che una diminuzione dei salari monetari possa condurre ad un aumento della produzione e dell’occupazione. Infatti, se anche i prezzi diminuissero nella stessa proporzione, non vi è alcun motivo che le esportazioni aumentino con l’aumentare dei prezzi, come mostra anche un recente studio della Commissione Europea. Il caso dell’Italia ai tempi dell’Euro è emblematico.
Anche la validità dell’effetto Keynes, ossia effetti positivi positivi sulla domanda interna di una riduzione dei salari monetari, è stata messa in discussione dai recenti sviluppi della teoria economica. Lo stesso Keynes aveva negato la possibilità di simili effetti.
Il grafico qui sopra (dato Ameco) mostra l’andamento del costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) in alcuni paesi europei. Il CLUP vuole essere una misura della competitività di prezzo di un’economia (sebbene molti dubbi sono stati avanzati sulla sua effettiva validità), in quanto un valore più elevato implicherebbe un più alto livello dei prezzi, e quindi minori esportazioni per l’economia in questione.
Osservando i dati possiamo notare come tra il 2010 e il 2013 il CLUP italiano sia cresciuto molto di più rispetto, ad esempio, a quello greco. Tuttavia la performance del saldo con l’estero italiano è stata assai migliore di quella greca (in deficit strutturale). Il grafico qui sotto mostra l’evoluzione del saldo con l’estero italiano.
Sia nei rapporti con l’estero che per quanto riguarda il mercato interno, dunque, la flessibilità salariale non assicura un incremento dell’occupazione e della produzione. Inoltre, la discesa dei salari monetari può avere delle conseguenze storico-sociali rilevanti. Inoltre, (Krugman ci scuserà) sembrerebbe piuttosto difficile sostenere che i salari nell’area euro non sono flessibili. Ancor più difficile sarebbe sostenere com necessaria un’ulteriore diminuzione dei salari monetari, ad esempio, in Grecia, viste le recenti evoluzioni delle retribuzioni monetarie.

Mobilità dei fattori produttivi e integrazione finanziaria

La teoria delle aree valutarie ottimali sostiene che la moneta unica favorisce la mobilità dei fattori produttivi (capitale e lavoro) e una maggiore integrazione finanziaria tra i paesi appartenenti all’area valutaria. La mobilità del lavoro consente, nell’idea di Mundell, di poter fronteggiare uno shock asimmetrico da parte di una regione che subisce lo shock. La mobilità del capitale, praticamente la stessa cosa dell’integrazione finanziaria, permette la convergenza tra i tassi d’interesse nei paesi appartenenti all’area (abbiamo mostrato in un articolo qui come nell’area euro la convergenza nei tassi d’interesse sui titoli pubblici sia stata permessa grazie alla politica monetaria della BCE) grazie all’assenza del rischio di cambio.
Riteniamo però che la libertà di movimento dei capitali non sia un fattore cosi positivo come viene spesso descritto. Infatti, il fatto che alcune imprese private possano liberamente decidere di delocalizzare la produzione al di fuori dei confini nazionali, può acuire il conflitto distributivo tra le classi sociali all’interno del paese, indirizzandolo in favore della classe imprenditoriale (vedi il caso Fiat a Pomigliano D’Arco).
Non ci sembra dunque che alla lunga la libertà di movimento dei capitali produca quegli effetti sperati sulla crescita del prodotto. Un minor potere contrattuale della classe lavoratrice può comportare, prima o poi, minori salari reali e quindi un minor livello di domanda aggregata e di produzione. Per quanto riguarda la mobilità del lavoro, concetto di diretta derivazione neoclassica, secondo il quale nei paesi dove vigono salari reali più elevati si dovrebbe assistere ad una sostenuta migrazione in entrata, non ci sembra che esso sia un fattore che si sia verificato in maniera decisiva nell’Euro, e non crediamo che esso sia un fattore determinante nel riequilibrare gli shock asimmetrici, proprio perchè derivante da una teoria le cui fondamente sono state ampiamente criticate (vediqui).

L’integrazione fiscale

I teorici delle AVO sottolineano che perché un’area valutaria possa essere definita ottimale, è necessaria l’esistenza di un’unione monetaria e fiscale, ossia di un bilancio pubblico comune a tutta l’area, di modo che eventuali shock asimmetrici possano essere affrontati con opportuni stabilizzatori automatici, ossia trasferimenti fiscali in favore delle regioni che mostrano una perdita di produzione e occupazione.
E’ questo un punto delicato della questione, in quanto nell’Eurozona, a differenza di quanto accade negli Stati Uniti, non è presente un’unione fiscale. Con l’euro la politica monetaria è diventata comune, ma le decisioni di politica fiscale vengono prese singolarmente dai singoli paesi (sebbene vincolati dal Trattato di Maastricht). Manca un sistema di trasferimenti centralizzato, in grado di "sostenere" la capacità di spesa dei paesi in difficoltà.
Dal nostro punto di vista, allora, ad esclusione del punto sull’integrazione fiscale (sul quale comunque c’è bisogno di effettuare ulteriori approfondimenti), ci sembra che l’impianto teorico sul quale è costruita la teoria delle aree valutarie ottimali sia da rigettare. Possiamo allora anche rispondere, come hanno già fatto peraltro in molti, che l’Eurozona non è un’area valutaria ottimale. Il nocciolo della questione, però, resta sempre quello riguardante un giudizio su un criterio che, alla base, risulta veramente poco fondato.
Fonte : forexinfo