domenica 27 aprile 2014

Vladimir Putin, stretta sulle comunicazioni Web e Social




Putin apre un nuovo fronte con l’Occidente. Dopo la contestata legge contro la propaganda gay e, ovviamente, dopoil complesso caso ucraino, ora Mosca mette a punto una stretta su internet che farà discutere. Il nuovo pacchetto antiterrorismo approvato dalla Duma prevede che le società di comunicazione che offrono servizi online siano tenute a conservare per sei mesi le informazioni relative ai messaggi dei propri utenti e, cosa più importante, dovranno farlo su server situati all’interno del territorio della Federazione Russa, senza eccezioni.

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Di conseguenza aziende come Google (per Gmail), Facebook e Microsoft (proprietaria di Skype) saranno costrette ad avere dei server in Russia, come i siti locali. È tuttavia controverso il fatto se le aziende straniere debbano uniformarsi alla legge locale o meno. Inoltre i blog con oltre 3000 utenti al giorno saranno equiparati ai normali mass media, con tutto quel che ne consegue: dovranno registrarsi presso un apposito albo, verificare l’attendibilità delle informazioni diffuse, evitare pubblicazioni di carattere estremista e non violare la privacy dei cittadini.
Le sanzioni pecuniarie per chi “sgarra” arrivano a 300.000 rubli (6.000 euro) per persone giuridiche, ma possono anche raggiungere 500.000 rubli (10.000 euro) in caso di recidiva (con l’alternativa della sospensione dell’attività fino a 30 giorni). Per Putin, tuttavia, la mossa potrebbe essere un clamoroso autogol. Accogliendo la talpa della Nsa, Edward Snowden, infatti, la Russia ha avuto gioco facile nel presentarsi al mondo come una paladina della libertà d’informazione contro l’invadenza americana e lo spionaggio sistematico dell’eterno avversario statunitense.
Snowden, tuttavia, ha chiesto espressamente rassicurazioni alla Russia. Perdere la gola profonda dell’intelligence Usa con la motivazione che, alla fine, Washington e Mosca si comportano allo stesso modo ,sarebbe per Putin una sconfitta di immagine di proporzioni devastanti.


By Mara De Angelis per tech-media

Russia, Ucraina, Europa e risorse L’evoluzione della crisi ucraina getta molti interrogativi sulla tenuta dei mercati internazionali




Chiamatela grandeur russa di Putin, chiamatela autodeterminazione del popolo di Crimea, ma l’evoluzione della crisi ucraina getta molti interrogativi sulla tenuta dei mercati internazionali. Finora le Borse mondiali hanno retto, ma si può continuare a investire tranquilli in questo particolare momento?
La risposta è sostanzialmente positiva, ma bisogna sapere che il conto di queste operazioni geopolitiche molto probabilmente sarà pagato dalla stessa Russia. Che, occorre ricordarlo, è una potenza mondiale oltreché uno dei maggiori Paesi emergenti dopo Cina e Brasile.
Per capire cosa accadrà in Russia ci siamo affidati a un’analisi degli esperti di Ubs che hanno esaminato la situazione di Mosca sotto il profilo macroeconomico. E i rischi sono di tre tipi:
  • La Russia rischia comunque di restare travolta da un default dell’Ucraina, un Paese in gravissime condizioni economiche che hanno accelerato la defenestrazione dell’ex presidente Yanukovich.
  • La Russia rischia di subire pesanti sanzioni da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti e queste punizioni potrebbero peggiorarne ulteriormente i fondamentali.
  • La Russia è già di fatto precipitata in una stag-flazione: la crescita economica sta rallentando, gli investitori esteri si allontanano da Mosca e la Banca centrale ha aumentato il tasso di sconto al 7% per cercare di frenare i deflussi di capitali allettando gli investitori con i rendimenti (ma di fatto aumentando l’inflazione).

Economia col fiato corto, rublo debole

Questa situazione ha portato gli analisti di Ubs ad abbassare le stime di crescita del Pil russo da +2,5% a +1,5% nel 2014 e a +2% (da+2,8%) l’anno prossimo. Non è la tristezza italiana (ed europea), ma in macroeconomia per accelerare ci vuole uno sorzo doppio rispetto a quello della frenata. Basti pensare che solo due anni fa Mosca cresceva del 3,4% e solo l’anno scorso si è piantata all’1,3%. Come detto, la flessione è dovuta a un calo degli investimenti sia privati sia soprattutto pubblici (il governo di Putin ha terminato una serie di grandi opere e nuovi cantieri per ora non sono previsti). E anche i giganti di Stato dell’energia come Gazprom e Rosneft ci stanno andando cauti con le spese.
Certo, non sono le cifre di un collasso, soprattutto tenuto conto del fatto che la disoccupazione in Russia è bassa rispetto ai nostri standard (5,6%) e che i consumi privati continuano a crescere anche se molto moderatamente. Ma è chiaro che l’incertezza geopolitica potrebbe peggiorare anche la situazione interna con un’inflazione che non si schioda dal 6%. Il surplus delle partite correnti continua a essere sostenuto da un rublo che negli ultimi 12 mesi ha perso il 10% circa rispetto al paniere di riferimento (composto per il 55% dal dollaro e per il 45% dall’euro) e un taglio dei tassi di interesse (dopo la recente manovra restrittiva) è atteso nel prossimo trimestre. Ma è chiaro che eventuali sanzioni potrebbero destrutturare tutto il quadro.
In realtà, la crisi ucraina è dovuta anche alla nuova impossibilità di Kiev di far fronte ai pagamenti a Mosca per il gas del quale è grande importatrice come tutto il resto d’Europa. Secondo alcuni analisti, l’espansionismo russo sarebbe legato anche alla volontà di allargare nei mercati russofoni la presa dei due colossi legati allo Stato, per l’appunto Rosneft (petrolio, adesso primo azionista di Pirelli e partner di Saras)  e Gazprom (gas). Intanto, la possibilità ce vengano applicate sanzioni non solo potrebbe limitare la commercializzazione del gas russo, ma potrebbe mettere a rischio la costruzione del gasdotto South Stream pensato per bypassare l’ondivaga Ucraina, sempre pronta a fare la cresta sul gas che transita sul suo suolo (per motivi economici, si intende).

Fonte : Niccolò Falchini per ilquorum



La ripresa in Europa? Una passeggiata di salute

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Per fortuna in Europa sta arrivando la ripresa. E grazie alla ripresa possiamo salutare i dati che ieri il sito dell’Eurostat ha pubblicato con fiducia e speranza. Si, perchè secondo loro la situazione delle finanze pubbliche è in via di miglioramento. Siamo coerenti. Ma quando mai!!! Certo, qualcuno sta godendo di veri e proprio momenti di gloria. Ma altri paesi si stanno muovendo nel limbo più cupo.
Il tutto, ovviamente, va poi a mettere a nudo la straordinaria incoerenza (secondo il mio punto di vista) tra quanto vediamo nella realtà oggi, in particolar modo sui mercati finanziari, e quanto invece rappresenta la realtà dei fatti.
Inutile dirlo, se in Eurozona non ci fosse una BCE che oggi funge da garante in un sistema assolutamente disequilibrato, lo scenario sarebbe molto diverso.
Intanto leggiamo i dati usciti nelle ultime ore e commentiamoli insieme dal sito Euronews. 
Complessivamente le finanze pubbliche europee sono migliorate nel 2013, segno di un lento ma progressivo incedere della ripresa.
Parlare di miglioramento delle finanze pubbliche non è certo corretto, in quanto chi era debole, oggi lo è ancora di più. In altri termini, si stanno dilatando le distanze tra l’Europa “core”, o forte, e l’Europa più debole, ovvero quella periferica. Se questo è un sinonimo di miglioramento delle finanze pubbliche, beh, siamo veramente a posto!
Il disavanzo medio nell’Eurozona (la differenza tra entrate e uscite in rapporto al Prodotto interno lordo) è calato al 3% ed è sceso anche quello dell’Unione Europea nel suo complesso (3,3%).
Questo è il frutto dell’austerity, Ma quanti di questi paesi oggi, per restare all’interno di certi parametri, stanno uccidendo definitivamente la propria economia? Guardate alla Grecia (estremizzando). Il rapporto debito PIL, malgrado le lodi comunitarie, è sempre più catastrofico in quanto, oltre alla spesa, agli interessi e quant’altro, occorre fare i conti anche con il forte rallentamento del prodotto interno lordo, il che significa un’economia in forte recessione. E questo l’UE lo tiene in considerazione, oppure NON fa comodo dichiararlo e allora va bene così?
Ma il quadro dipinto è fatto inevitabilmente di Paesi più e meno virtuosi, con i primi capitanati dalla solita Germania, in pareggio di bilancio, e i secondi guidati da Slovenia (14,7%), Grecia (12,7%), Irlanda (7,2%) e Spagna (7,1%).
Meno male che almeno questo lo ammettono…
Se si guarda al debito pubblico, formato dall’accumulazione dei vari deficit nel tempo, il discorso però cambia e l’eredità della crisi è ben visibile. Nell’Eurozona è salito al 92.6%, ben oltre il parametro di Maastricht del 60%, mentre nell’Unione europea ha raggiunto l’87,1%.
Questa frase contraddice in modo inequivocabile quella di apertura. E questo sarebbe un sistema economico più stabile? E nessuno prende finalmente atto del fatto che i parametri di Maastricht sono “obsoleti” e devono essere rinegoziati? Inoltre, a livello comunitario, perché non si prende coscienza del fatto che in rapporto debito/PIL al 92.6% è gestibile, mentre alcune situazioni prese singolarmente, sono già ora ingestibili (Grecia in primis) e ben presto molte altre lo saranno (Portogallo, Spagna, Italia e…Francia)?
A guidare la classifica, in questo caso, rimane salda in prima posizione la Grecia, con un debito che rappresenta oltre il 175% del Pil.
Beh, sulla Grecia ho già scritto molto in passato, Riprendetevi questo post. Sarà vera gloria? Finchè si tiene in piedi il bluff…
Ma in termini assoluti il Paese che svetta di più è sicuramente l’Italia, terza economia della zona euro. Secondo i dati del governo, il debito si attesta a oltre 2.069 miliardi di euro, il 132,6% del Pil, in crescita di oltre cinque punti percentuali rispetto al 2012. Pur gravata da tale fardello, Roma può comunque rivendicare di aver mantenuto il disavanzo al 3% sia nel 2012 che nel 2013.
Grazie per i complimenti presi per il deficit al 3%. Ma a quale prezzo? E soprattutto quanto ci costerà in termini di perdita di PIL questo sacrificio in futuro?
Discorso diverso per la Francia, nonostante i due anni di proroga ricevuti dalla Commissione europea. Il disavanzo ha toccato il 4,3%, oltre il 4,1% messo in conto da Parigi, ancora oggi in difficoltà nel tagliare le ingenti spese per la protezione sociale.
Eccovi un esempio di un paese che voleva dominare con la Germania (ve lo ricordate il duetto Merkozy?) e che oggi sta diventando un “periferico”: e per certi versi (per noi) è un bene perché dà maggior voce e forza ad un movimento che deve portare al rifacimento/rinegoziazione dei parametri di Maastricht.
L’Europa così non ha più senso. Deve essere RIFATTA. E se mi chiedete: allora perché non uscire dal’Europa e dall’Euro? Bene, sappiate che, ovvio, l’argomento è spinosissimo ma ben presto scriverò qualcosa sull’argomento anche se già in passato tanto è già stato detto. Ma ricordatevi. Il nostro grande problema è il debito. E, cosa da non sottovalutare, il fatto che molto di questo debito rischia di non potersi trasformare (come invece i NoEuro sostengono) automaticamente in Lire. E vi spiegherò perché.





martedì 22 aprile 2014

Oltre la crisi economica l'Europa deve affrontare anche quella dei diritti umani.




L'Europa è ormai da molto tempo alle prese con il problema dei diritti umani a seguito dello sconvolgimento causato dai sempre più crescenti fenomeni di migrazione di massa e dai problemi che si sono venuti a formare all'interno di alcuni stati. Lo dice anche  BRUXELLES  secondo il Consiglio, con sede a Strasburgo ( CoE ).

Chi controlla i diritti umani, in un rapporto pubblicato Mercoledì 16, si dice, che la corruzione,  il traffico di esseri umani, il razzismo e la discriminazione persistono ormai in tutta Europa non solo nel nostro paese come quasi tutti sono portati a pensare in seguito alla enorme mole di sbarchi che siamo ormai abituati a vedere sulle nostre coste. Infatti, in molti dei 47 paesi sotto il suo mandato, ci accorgiamo che le violazioni stanno aiutano la proliferazione dell'estremismo e dei conflitti.
"Le sfide per la sicurezza in Europa sono sempre più spesso causate da conflitti all'interno dei territori, all'interno degli Stati , piuttosto che dai conflitti classici fra stati, ha detto " Daniel Holtgen" , portavoce CoE. 
Il Segretario generale del CoE  "Thorbjorn Jagland" - in un comunicato dal titolo "L'Europa nella più grande crisi dei diritti umani in quanto guerra fredda",  ha affermato che la mancanza di controlli e contrappesi democratici, i media liberi e un sistema giudiziario indipendente è la causa della diffusa corruzione e abuso di potere. Egli chiede una " nuova agenda europea di sicurezza " per contribuire ad arginare l'abuso.
L' idea è di assicurarsi che i diritti umani siano tessuti, fin dall'inizio, nelle politiche e nelle leggi guida della sicurezza
Dice che i membri devono rispettare la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, per fermare l'erosione dei diritti fondamentali, che ora è diventata la fonte di conflitti all'interno dell'Europa.

Certo c'è da dire che la discriminazione e le misure di austerità hanno dato origine alla estrema destra in Grecia. Nel frattempo, l'economia della "Bosnia - Erzegovina", la disoccupazione  e il risentimento popolare contro la classe dirigente stanno alimentando movimenti di protesta .
L'anno scorso Taksim Gezi Park in Turchia e il suo giro di vite sulla libertà dei media è diventata una fonte di crescente conflitto interno. Il rapporto di 72 pagine in "i pericoli che abbiamo di fronte" rileva l'attuale crisi in Ucraina.
La relazione sottolinea la mancanza in Ucraina di un sistema giudiziario indipendente, di libertà di stampa e di controlli ed equilibri sul governo,  che ha creato le condizioni per la corruzione e l'abuso di potere.
"Ciò ha causato sfiducia , disagio sociale e, infine, una rivoluzione. L'annessione della Crimea nella Federazione Russa è un'azione unilaterale chiaramente in contraddizione con la Costituzione dell'Ucraina che ha provocato una crisi a pieno titolo in Europa".

Organismi specializzati all'interno del Consiglio sono stati istituiti proprio per monitorare gli standard dei diritti umani e hanno scoperto che la discriminazione etnica contro le minoranze nazionali è la più comune.
La discriminazione è un problema serio nei 39 Stati membri del Consiglio Europeo.
Le condizioni di povertà crescenti, la detenzione, il sovraffollamento delle carceri si ritrovano in 30 stati.
La corruzione massiccia si è diffusa in 26 stati, seguita da abusi della polizia in 20, tra le altre violazioni.

Quel'è il problema che sta emergendo?
A mio avviso, tutti questi fatti stanno ad indicare ancora di più che l'Europa sta affrontando una crisi molto importante e non solo dal lato economico, si perché il lato economico è solo quello che salta più agli occhi di tutti, ed è quello su cui, la maggior parte della popolazione e degli stati si interessa, in quanto l'interesse per il denaro rappresenta sempre il principale problema. 
Invece, ci dovremmo accorgere che, i problemi non li abbiamo solo a casa nostra  e che sulla barca europea i buchi sono un'po ovunque. Questo è il principale problema che affligge l'unitarietà europea, quindi, facciamo molta attenzione a quello che succede altrove, perché domani dovremmo confrontarci con un'aumento ancora maggiore della disuguaglianza sociale, se non cambiamo il nostro modo di vedere le cose che ci circondano. 
E' questo il primo grande problema da evitare all'orizzonte, in quanto radice di tutta una serie di eventi che portano inevitabilmente ad una stratificazione sociale che, aumentando, non riuscirà a vedere più i fatti che ci circondano ed a giudicarli con l'obiettività che meritano, causando la proliferazione ed il controllo da parte dei poteri forti che stanno sopra a tutto.


By Steve portavoce di tivedoitalia



Credere o non Credere a Renzi? Appuntiamoci intanto alcune dichiarazioni



Renzi: La rivoluzione è appena iniziata. 



Entro un anno identità digitale per tutti

Matteo-RenziIl premier Renzi continua la sua sfida per cambiare L’Italia e annuncia grandi novità, dicendo: «La rivoluzione è appena iniziata, gli 80 euro e l’Irap sono l’antipasto». Ha quindi spiegato adesso serve «mantenere credibilità sui mercati. Sarà possibile se resta alta l’attenzione su tutte le riforme. Se ci riusciamo – sostiene il premier – allora presto potremo allargare il taglio delle tasse agli incapienti, alle partita Iva e ai pensionati». E, sottolinea, «faccio notare a chi mi accusa di fare solo televendite che abbiamo mantenuto le promesse. Come diceva Franco Califano, tutto il resto è noia».
Tra le novità annunciate ci sono l’abolizione del segreto dai documenti sulle stragi, aiuti alle famiglie e agli anziani, lotta alla burocrazia e “l’identità digitale per tutti” entro un anno: ogni italiano avrà un pin, che userà per entrare in tutti gli uffici della pubblica amministrazione restando a casa».
Poi il presidente del Consiglio rispondendo a quanti vedono il suo governo di breve durata, si dichiara convinto che «questa legislatura durerà fino al 2018, anche Berlusconi lo sa» e afferma anche «In ogni caso nel nostro paese sta tornando la speranza. Adesso se riusciamo a sbloccare l’incantesimo, accadrà una cosa straordinaria: in Europa torna l’Italia autorevole e combattiva. A quel punto ci divertiremo».
Il premier si è poi lasciato andare ad alcune considerazioni e ha ammesso che negli 80 euro c’è una «debolezza» perchè «80 euro dati a un single hanno un impatto diverso rispetto a un padre di famiglia monoreddito con quattro figli. Dobbiamo porci questo problema. L’Italia non si può permettere il lusso di trattare male chi fa figli».
Infine riferendosi alla proteste di banche e magistrati, ha precisato: Le banche «pagano le stesse tasse di tutti gli altri italiani, il 26%». Quanto ai magistrati, ribadisce: «Con quale logica intervengono sulla formazione delle leggi? Non è indispensabile che un giudice o un pm guadagni più di 240mila euro all’anno. Non è un disastro sociale». Ha anche annunciato la riforma della giustizia: «A giugno, dopo le elezioni. Ascolteremo tutti e faremo la riforma. Iniziamo con il processo civile telematico» e poi toccherà anche al processo penale «senza interventi ad personam che hanno segnato la sconfitta della politica in questi anni. C’è anche la giustizia amministrativa. Il sistema dei Tar non funziona come dovrebbe, dobbiamo fare una riflessione anche su questo».


Fonte :  Sebastiano Di Mauro per 2duerighe




Crisi: oltre un milione di famiglie senza reddito da lavoro



La crisi divora le speranze delle famiglie italiane, giorno dopo giorno. Secondo i dati dell’Istat, nel 2013 oltre un milione di famiglie italiane vivono senza reddito da lavoro. Si tratta di nuclei familiari al cui interno tutti i componenti attivi (ovvero quelli che partecipano al mercato del lavoro) sono disoccupati.
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La quota dei nuclei senza reddito da lavoro in un anno è cresciuta del 18,3%, che tradotto in termini assoluti corrisponde a 175mila famiglie. Se poi si estende il confronto a due anni prima l’aumento percentuale è addirittura del 56%.
Si tratta di famiglie in cui ci si affida all’indennità di disoccupazione, a rendite da affitto o capitale o ancora alla pensione di qualche parente ormai a casa dal lavoro. Le situazioni più critiche potrebbero coincidere con quelle delle coppie con figli, quasi mezzo milione, a cui si aggiungono più di 200 nuclei monogenitore, dove nella gran parte dei casi il solo capofamiglia è una donna, o meglio una mamma.

Nel Mezzogiorno sono 598mila le famiglie dove coloro che sono forza lavoro risultano tutti disoccupati. Seguono il Nord, che ne ha 343mila, e il Centro, con 189mila.
Stante questa situazione, è ovvio che gli italiani vadano a fare la spesa tenendo tutti e due gli occhi bene aperti per vedere dove e come risparmiare. Il rapporto del Centro studi di Unimpresa spiega per esempio che cinque famiglie italiane su sette hanno provato almeno una volta i discount nel primo trimestre di quest’anno, confermando una tendenza cresciuta con la recessione e consolidatasi nel 2013.
Girando tra gli scaffali del supermercato, il 71,5% degli italiani sta molto attento alle offerte e nel carrello della spesa finiscono con sempre maggiore frequenza rispetto al passato prodotti scontati, specie quelli con ribassi dei prezzi superiori anche oltre il 30% rispetto al listino ufficiale.
Il che si traduce anche in minore incasso per gli esercenti: l’impatto sui conti potrebbe arrivare ad avere un’incidenza negativa del 65-70%. Elemento che aggraverebbe un quadro già profondamente depresso, con i consumi che nel 20134 sono scesi del 2,6%.

By Mara De Angelis per tech-media


venerdì 18 aprile 2014

Lo Stato impiccione e furbacchione





Lo Stato impiccione e furbacchione


















Una società per azioni, secondo il codice civile, è un'organizzazione finalizzata al profitto, che va ripartito tra gli azionisti in funzione delle azioni possedute. Già questa constatazione giustifica perplessità: come mai lo Stato, che non ha fini di profitto, deve costituire società per azioni che possiede al 100 per cento? Queste non operano in mercati concorrenziali, quindi se fanno profitti verosimilmente si tratta di rendite di monopolio, cioè di risorse indebitamente sottratte agli utenti. Questo sembra confliggere con l'interesse pubblico.

 Ma vi sono anche società per azioni pubbliche pesantemente sussidiate dallo Stato: producono servizi a cui lo Stato attribuisce utilità sociali, e quindi non vuole lasciarle al libero mercato, anche se notoriamente non vi sono nessi tra socialità e soggetto che produce il servizio, ma solo tra socialità e caratteristiche di prezzo e qualità dei servizi pubblici forniti ai cittadini. Altre società pubbliche gestiscono "monopoli naturali", cioè infrastrutture, che non si possono mettere in concorrenza. Ma questo ruolo è affidato in alcuni casi a soggetti privati, con una logica mai esplicitata. Nel proliferare di SpA pubbliche negli anni passati, sono sorte anche società che svolgono funzioni di regolatori o di controllori o di stazioni appaltanti, un ruolo squisitamente ed esclusivamente pubblico. I veri obiettivi dell'azionista Le Ferrovie dello Stato sono una SpA pubblica, sussidiata con circa 7 miliardi all'anno. 

Dichiarano di fare modesti profitti a valle di questa erogazione di denaro, sostanzialmente arbitraria (nessuno ha mai spiegato perché non il doppio o la metà). Le autostrade sono affidate con contratti di lungo periodo sia a società pubbliche che a privati (la maggiore, Autostrade per l'Italia, fa capo ai fratelli Benetton), senza che se ne capisca il criterio. Lo stesso vale per gli aeroporti (la Sea del comune di Milano, Aeroporti di Roma sempre dei Benetton). Aeroporti e autostrade private in genere fanno profitti. E sono per la gran parte SpA pubbliche le aziende del trasporto locale, possedute da Comuni e Regioni e sussidiate con circa 5 miliardi l'anno dallo Stato e dagli enti locali, che presentano livelli di efficienza molto bassi. Poi c'è il caso dell'Anas: controlla le concessioni autostradali e nello stesso tempo è concessionaria essa stessa di autostrade, con una duplicità di ruoli che non può che lasciare perplessi (in quanto SpA, stabilisce contratti di natura privatistica coi concessionari, basati su piani finanziari "segretati", inaccessibili anche ai parlamentari che li richiedono). 

Nel settore aereo c'è l'Enac per il controllo di aeroporti e compagnie aeree, ed Enav per l'assistenza al volo, entrambe SpA con funzioni totalmente pubbliche. (Alitalia era anch'essa una SpA pubblica, con i risultati noti). Recentemente è stata costituita una SpA in Lombardia (Infrastrutture Lombarde) con il compito di concedente di autostrade nuove. Di recente ha avuto adesso gravi problemi con la giustizia, ma prima era un modello di grande successo, che altre Regioni volevano imitare . Ma quali sono gli obiettivi sempre dichiarati all'atto della costituzione di SpA pubbliche? Sempre l'efficienza, ovvio, liberarsi di lacci e lacciuoli che paralizzano le attività dei ministeri. Ma è solo un velo che occulta obiettivi meno nobili. 

Innanzitutto perché la condizione di SpA consente totale disinvoltura sia nelle assunzioni del personale, a tutti i livelli, che nelle retribuzioni, in media nettamente più alte che nel pubblico. E spesso le SpA non hanno sostituito ma si sono sovrapposte a funzioni dello Stato. In terzo luogo, e probabilmente questa è la caratteristica più rilevante, consentono di aggirare grazie alla loro (solo formale!) natura privatistica, molti vincoli di bilancio o di trasparenza richiesti dall'Europa. I guadagni di efficienza promessi non sono mai stati dimostrati: le evidenze sembrano indicare il contrario. Anche tecnicamente è molto difficile ottenere una esatta informazione sulla reale efficienza di imprese non esposte alla concorrenza. 

Lo Stato faccia il suo mestiere Che fare? La risposta sembra semplice: "Il pubblico faccia il pubblico, e il privato il privato". Lo Stato smetta di produrre direttamente alcunché e si concentri sul garantire ai cittadini buoni servizi e infra- strutture a bassi costi, sottraendosi ai conflitti di interesse ("proteggo la mia impresa o gli utenti/contribuenti?") che oggi dominano. Per ottenere produzioni efficienti, i privati, non certo per il loro buon cuo- re, sono molto più portati, e questa loro attitudine va usata sia attraverso l'affidamento periodico in gara delle concessioni, sia attraverso autorità di regolazione (come quella di recente istituita per i trasporti), realmente indipendenti e dotate di poteri adeguati. Anche nel difendere le imprese dalle interferenze indebite dalla politica nelle gestioni.


By Marco Ponti - Il Fatto




Taglio Irpef e Irap ridurrà le risorse per la sanità di 2,4 miliardi in due anni



Ecco la bozza. Annullata l'esenzione Imu per per i fabbricati rurali ad uso strumentale dal primo gennaio di quest'anno. Decurtati gli stipendi dei dirigenti pubblici, inclusi i magistrati



Taglio Irpef e Irap ridurrà le risorse per la sanità di 2,4 miliardi in due anni



Tagli alla sanità per circa 2,4 miliardi di euro in due anni. Le risorse per finanziare il Servizio Sanitario Nazionale saranno ridotte di 868 milioni quest’anno e 1,5 miliardi dal 2015. E’ quanto prevede una delle misure contenute nella bozza, ancora in via di definizione, del decreto per il taglio dell’Irpef che sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri di venerdì 18.  E proprio su questo fronte sono in corso trattative serrate tra il ministro dell’Economia e il ministero della Salute, con Beatrice Lorenzin che non sembra disponibile a mollare facilmente il colpo. Il taglio sarebbe infatti legato ad una stima previsionale al ribasso del Pil, che dovrebbe comportare un ridimensionamento complessivo della spesa pubblica pari a circa 700 milioni di euro, con ricadute nei singoli settori e voci di spesa. I nuovi tagli metterebbero così a rischio la definizione del Patto della Salute con le Regioni, oltre che la possibilità di rinnovare i Livelli essenziali di assistenza (Lea).
Duro il giudizio del maggiore sindacato dei medici dirigenti, l’Anaao-Assomd: “Il decreto legge che sarà approvato domani dal governo porterà, secondo indiscrezioni, un taglio lineare al fondo sanitario nazionale ed una amputazione chirurgica degli stipendi di tutti i professionisti della sanità. Il grido di dolore per quanto accade – afferma il sindacato medico – è rimasto, però, solo sulla bocca dei medici e dei dirigenti sanitari”. Infatti, è la denuncia dell’Anaao, “tacciono le Regioni immerse nell’oblio di un patto tradito prima ancora che venisse stipulato. Tacciono le organizzazioni sindacali delle nuove professioni sanitarie, soddisfatte di competenze avanzate e di condizioni di lavoro arretrate. Tacciono gli ordini professionali e le Università che non hanno ancora capito che se si abbassano i nostri stipendi caleranno anche quelli dei medici universitari”.
Critica anche la posizione di Federfarma: i tagli, afferma l’associazione, andrebbero “in direzione totalmente contraria a quella evoluzione da tutti auspicata. L’ipotesi di nuovi tagli alla spesa farmaceutica convenzionata”, infatti, determinerebbe seri “danni per il servizio farmaceutico: la spesa farmaceutica convenzionata – conclude Federfarma – a seguito dei tagli apportati in questi anni, oggi è già a livelli inferiori a quelli di 14 anni fa”.
IL BONUS IN BUSTA PAGA - Quanto al beneficio per le fasce basse dei cittadini, secondo le bozze si tratta di un ”credito”, in pratica un bonus, quello che sarà riconosciuto ai contribuenti per ridurre l’imposta regionale: sarà del 3,5% per i redditi fino a 17.714 euro, si attesterà a 620 euro tra questo valore e 24.500 euro, per poi scendere progressivamente fino alla soglia dei 28.000 euro. Il bonus salirà a 950 euro per la fascia tra i 19.000 e i 24.500 euro nel 2015, quando si spalmerà per l’intero anno. Sotto questa soglia il beneficio sarà del 5% sul reddito, mentre sopra questo scaglione è previsto un decalage.
Il pagamento del bonus, si legge sempre nelle bozze, scatterà da subito. In particolare ai datori di lavoro si chiede di erogarlo, dopo l’entrata in vigore del provvedimento, “a partire dal primo periodo di paga utile”. Il credito dovrà essere rapportato al periodo di paga e sarà indicato nel Cud. Nel dl e nelle coperture da 6,7 miliardi indicate dal governo rientrerebbero anche gli incapienti, senza necessità di ricorrere a risorse aggiuntive.
Non trattandosi più infatti di detrazioni Irpef, anche chi rientra nella no tax area può godere dello stesso trattamento di chi invece paga l’imposta. L’ipotesi, sulla quale i tecnici del ministero del Tesoro stanno ancora lavorando, è che le risorse per questa voce arrivino dai contributi previdenziali. In pratica l’azienda per i dipendenti incapienti fiscalmente potrà utilizzare i contributi e versarli in busta paga al contribuente, segnalando gli importi all’Agenzia delle Entrate. Sarà poi l’Agenzia a riversare all’Inps i contributi anticipati per garantire il bonus agli incapienti.
Sul fronte delle imprese, invece, l’aliquota principale dell’Irap passerà dal 3,9% al 3,5% nel 2015 mentre per quest’anno è prevista un’aliquota intermedia del 3,75%. Calano anche le altre aliquote previste per banche e agricoltura: dal 4,2 al 3,8 per cento, dal 5,9 al 5,3 per cento, dall’1,9 all’1,7 per cento. 
LE COPERTURE: LUCI, AUTO, TAXI. E IMU SUI CAPANNONI- Per quanto riguarda le coperture, le bozze che stanno circolando parlano di un rispolvero dell’operazione ribattezzata “cieli bui” di bondiana memoria per ridurre il costo dell’illuminazione pubblica in parcheggi, aree artigianali o industriali, esterni di edifici pubblici o monumenti. Con un decreto del ministero delle Infrastrutture saranno stabilite nuove norme per l’illuminazione stradale che tengano conto, oltre che della sicurezza, anche del risparmio energetico e del contenimento della spesa. L’invito agli enti locali è di conseguire risparmi “non inferiori a 100 milioni“.
Altra voce, la spesa per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio di auto della pubblica amministrazione, nonché per l’acquisto di buoni taxi, (comprese Autorità indipendenti e Consob) non potrà superare da quest’anno il 30% della spesa sostenuta nel 2011. In questo modo si prevede un taglio della spesa del 70% rispetto a tre anni fa. Un capitolo che si preannuncia già controverso, è poi l’eliminazione dal primo gennaio di quest’anno l’esenzione Imu per i fabbricati rurali ad uso strumentale.
IL RADDOPPIO DELLA TASSA ALLE BANCHE - Tra le conferme, ci sono le ritenute e le imposte sostitutive sugli interessi, premi e ogni altro provento assimilabile alle rendite finanziarie che salgono al 26%, con un gettito atteso intorno al miliardo di euro dal raddoppio della tassa sulle sole plusvalenze registrate dalle banche con la rivalutazione delle quote di Bankitalia. Segue l’addio alPra. Le funzioni di registrazione della proprietà degli autoveicoli passano al ministero dei Trasporti, così come il personale adibito. La misura dovrebbe comportare un risparmio di spesa di almeno 60 milioni a decorrere dal 2015. Mentre da una riduzione degli stanziamenti pubblici a favore di Caf e patronati è atteso un taglio di 67 milioni nel 2014 e di 100 milioni nel 2015.
IL RECUPERO DELL’EVASIONE SI FA STRUTTURALE - Acrobazie, poi, con i proventi della lotta all’evasione fiscale. Se un ammontare di 300 milioni incassati nel 2013 saranno utilizzati per la copertura del bonus, il Tesoro considera strutturale la somma anche per gli anni successivi.
LA SPESA DELLE SOCIETA’ PUBBLICHE - Infine le società a totale partecipazione pubblica diretta o indiretta dello Stato dovranno tagliare i costi “nella misura non inferiore al 2% nel 2014 e al 3,5% nel 2015″. La disposizione non si applica alle società per le quali “alla data di entrata in vigore del decreto risultano già avviate procedure volte ad una apertura ai privati del capitale” (quindi al momento Enav e Poste).  Tuttavia le spese per acquisto o fornitura di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione “sono ridotti nella misura del 5% a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto”. La misura vale dunque anche per i contratti in essere che dovranno quindi essererinegoziati.
GLI STIPENDI DEI DIRIGENTI - Altra voce, il taglio degli stipendi dei dirigenti di amministrazioni e società pubbliche con i nuovi tetti inferiori al compenso del presidente della Repubblica, in base al quale (con riduzioni in percentuale) saranno calcolati anche i salari delle fasce più basse. Sono compresi nella misura anche organi costituzionali, Banca d’Italia e Autorità indipendenti, nonché magistratura e Servizio sanitario nazionale.
Quattro le fasce: si parte dal tetto di 238.000 euro parametrato al compenso del capo dello Stato, ridotto poi del 22% (ovvero a un massimo di 185.640 euro), del 54% (109.480) e del 60% (95.200).  Il taglio riguarda le società a partecipazione pubblica ma non le quotate né quelle emittenti strumenti finanziari (Ferrovie o Poste ad esempio). 
DIFESA, LETTERE ELETTORALI E PALAZZO CHIGI -  Dalla “rideterminazione di programmi di investimento per la difesa nazionale” inseriti nel decreto sono attesi tagli per 200 milioni quest’anno e per 900 milioni a partire dal 2015. Nella Bozza il taglio degli F35 non è indicata espressamente. Palazzo Chigi è invece coinvolta nel piano di risparmi imposto dalla spending review con un risparmio complessivo di 20 milioni nel 2014 e 24 milioni dal 2015. Addio, infine, alle agevolazioni per le lettere spedite per fare campagna elettorale. A partire da subito, quindi elezioni europee comprese.

Tratto da : ilfattoquotidiano

Dl Lavoro, proroghe contratti a termine ridotte da otto a cinque






Nell’arco di 36 mesi, il contratto a termine potrà essere prorogato per cinque volte di seguito e non più otto, come accadeva fino ad ora. Lo stabilisce un emendamento del Pd (a prima firma Marialuisa Gnecchi) approvato dalla commissione Lavoro alla Camera, presentato al decreto per il rilancio dell’occupazione.


lavoro


Tra le altre modifiche deliberate dalla Commissione Lavoro c’è anche quella che introduce l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato per i datori di lavoro che stipulano contratti a termine superando il tetto del 20%. E ancora: il testo, che verrà esaminato dall’aula di Montecitorio a partire da domani mattina, prevede che le mamme con contratti a tempo determinato possano conteggiare il periodo di congedo di maternità, ai fini dei requisiti necessari per acquisire il diritto di precedenza, per le assunzioni a tempo indeterminato.

Alle stesse lavoratrici è anche riconosciuto il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinatoeffettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi, “con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine”. L’emendamento stabilisce inoltre che il datore di lavoro “è tenuto a informare il lavoratore del diritto di precedenza attraverso comunicazione scritta da consegnare al momento dell’assunzione”.
Tra le altre norme approvate ci sono quelle sull’apprendistato, ovvero sulla reintroduzione della forma scritta del piano formativo, dell’obbligo della formazione pubblica e una norma per la stabilizzazione degli apprendisti. Prorogati di un anno (fino al 31 luglio 2015) i contratti di lavoro a tempo determinato del personale educativo e scolastico degli asili nido e nelle scuole dell’infanzia dei comuni, “sottoscritti per comprovate esigenze temporanee o sostitutive”.
È scontro, invece, sul tema delle dimissioni in bianco. “Il ddl sull’abrogazione dell’odiosa pratica è stato affossato, nonostante le proteste di Sel in Senato” ribadiscono Loredana De Petris, presidente del gruppo Misto del Senato e Giovanni Barozzino, capogruppo di Sel in commissione Lavoro. “Sul tema del lavoro – scrivono i parlamentari – abbiamo assistito, ancora una volta, alla scrittura di una pagina vergognosa da parte di quelle forze politiche che, in campagna elettorale si propongono come paladini dei diritti dei lavoratori, e poi all’interno del Parlamento fanno l’esatto contrario. Le dimissioni in bianco erano state approvata dalla Camera, anche con il sostegno del Pd. Evidentemente, però, nel tragitto tra Montecitorio e Palazzo Madama i colleghi piddini ci hanno ripensato e hanno preferito rinviare tutto alle calende greche, allineandosi in questo modo alle politiche del lavoro di Sacconi”.

By Mara De Angelis per tech-media