venerdì 4 aprile 2014

Effetto Renzi? Boom in borsa: nei primi tre mesi dell’anno Piazza affari è cresciuta del 15 per cento, molto più di Francoforte e Madrid. Chi scommette sull’Italia? E perché?

Effetto Renzi?


Il primo trimestre dell’anno è stato generoso per le borse occidentali. La (salomonica) previsione delle banche d’affari ad inizio anno stimava una crescita annua media del 10 per cento e l’indice eurostoxx delle piazze finanziarie del Vecchio Continente è perfettamente in linea: registra poco più di un +2,5 per cento dopo i primi tre mesi dell’anno.
A contribuire in modo decisivo a questa crescita è stato il listino italiano: il FTSEMIB infatti dal 1 gennaio a oggi è cresciuto del 15 per cento; molto più di quanto abbia fatto il teutonico DAX di Francoforte (+0,75%) ma anche molto meglio di un paese che per dimensioni, spread ed etichetta di “periferico” vale per l’Italia come pietra di paragone: il listino di Madrid, che segna un dignitoso (ma decisamente inferiore) +5,1%. La brillantezza del listino italiano ha diverse origini. Innanzitutto da qualche mese le piazze finanziarie dei paesi emergenti stanno subendo un richiamo di capitali dovuto all’inasprimento soft delle politiche monetarie americane e a diversi problemi locali che, dal Brasile alla Turchia, passando per la Russia e l’India, li rende oggetto di riflessioni preoccupate. Questi capitali, alla ricerca di rendimenti, trovano nella “periferia” dell’area euro un buon mix di valutazioni accessibili e rischio contenuto.
A mettere in luce l’Italia, all’interno di questo trend, c’è senza dubbio la sequenza ininterrotta di operazioni corpose, provenienti da investitori di dimensione mondiale: dagli acquisti di George Soros sul settore immobiliare allo shopping di BlackRock e Blackstone su Unicredit, Banca Intesa, MontePaschi e Versace, fino ai recenti investimenti cinesi su Eni ed Enel. Quando si muovono congiuntamente dei pezzi da 90 gli altri operatori tendono ad emulare, immaginando che se “vuolsi così colà dove si puote” un motivo ci dovrà pur essere.
Una delle ragioni non può che essere quantomeno la curiosità, se non la fiducia, che l’Italia stia intraprendendo realmente un percorso politico di cambiamento, di rinnovamento. La coincidenza di certe mosse degli operatori finanziari internazionali con la stagione delle nomine nella grandi aziende a partecipazione pubblica, ad esempio, non sembra essere un caso. Tra riforma del mercato del lavoro, snellimento della burocrazia e revisione delle logiche clientelari politica-industria, gli investitori hanno piazzato le loro fiche, valutando che il paese al momento gode – grazie al supporto della Bce – di una fase di minor tensione sul fronte del costo del debito e che il governo Renzi insisterà, tenendo il piede sull’acceleratore. Tanto che c’è chi parla di “effetto Renzi”.
Il risultato è una salita delle quotazioni borsistiche che, per quanto vistosa nel breve termine, riporta il listino milanese soltanto ai valori di inizio 2011, ancora lontani dai massimi: nel 2007, prima dello scoppio della crisi dei mutui americani, l’indice italiano era arrivato a valere il doppio di oggi. E andando ancora più indietro, al 2000 – prima della crisi delle dot.com – l’indice di Piazza Affari valeva circa due volte e mezza le quotazioni odierne. Se da una parte, quindi, non possiamo sederci sugli allori di capitali esteri che potrebbero andarsene come sono venuti, dall’altra la convergenza di riforme strutturali e di una politica monetaria accomodante ci autorizzano a pensare che la festa, dopo questo trionfale trimestre borsistico, possa essere solo all’inizio. Il governo deve dunque continuare a rimboccarsi le maniche, e lottare contro chi cerca di rimboccargli le coperte.

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