sabato 9 novembre 2013

Critiche e lodi alla ragion d’essere dell’Europa: La Bce ci fa lo sconto, quali gli interessi, quali gli obiettivi?

Vi è mai capitato che un vostro parente, amico o conoscente avesse dei giramenti di testa? Probabilmente si. In quei casi tendenzialmente si opta, sul momento, per un bicchiere d’acqua o più spesso, per un bicchiere di acqua e zucchero. Se la persona non ha nulla nel giro di pochi minuti tutto è passato. Se la persona soffre un pochino di pressione bassa in pochi minuti andrà un po’ meglio. Se, malauguratamente, la persona soffre di pressione alta avrete peggiorato, seppur non molto, la situazione.

Ieri la Banca Centrale Europea ha dato all’eurozona un bel bicchiere di acqua e zucchero (taglio del tasso di riferimento interbancario dallo 0,50% allo 0,25% con promessa di mantenimento a tale livello nel lungo periodo o addirittura un azzeramento dello stesso). L’eurozona soffre di pressione bassa (bassa crescita, stagnazione o recessione a seconda degli Stati Membri). L’effetto però è stato un lieve peggioramento (come il caso della persona con la pressione alta). Strano. Contestualmente i dati positivi sull’economia americana rilasciati dalla Federal Reserve (La Banca Centrale Statunitense) hanno, anziché provocare un effetto positivo come sarebbe lecito aspettarsi, intimorito gli investitori esteri (specie quelli europei) perché temono che le misura di acquisto titoli sul mercato aperto da parte della Fed atti a mantenere alta la liquidità di moneta e quindi a sostenere la domanda possano essere ridotti drasticamente, prima di quanto già annunciato nei mesi scorsi da parte dei vertici della Fed.
Ma cosa sta accadendo in realtà? Quando leggo qualcosa di argomenti che mi appassionano ma sui cui non ho competenze specifiche mi piace leggere qualcosa scritto da qualcuno che mi faccia capire le dinamiche fondamentali che ci sono dietro le sue argomentazioni. Proviamoci:
Perché il bicchiere di acqua e zucchero pare ci abbia fatto male? Ha sbagliato la Bce? C’è qualcosa che non va? O anzi, meglio, c’è qualcosa che va?
Ripromettendomi di dire la mia nel pezzo che state leggendo, ieri pomeriggio ho postato questi interrogativi sul mio profilo di uno dei noti social network. Un ragazzo, studente di economia, mi ha risposto: “l’economia reale è a pezzi. Ormai gli stimoli monetari sono inutili, ci salveranno solo le riforme strutturali eseguite con una efficace politica fiscale”. Quanta ragione c’è nelle parole di quel ragazzo? Molta, tanta, ma non è tutto e, soprattutto, una lettura attenta delle sue parole può forse aiutarci a comprendere la scelta effettuata dalla Banca Centrale Europea.
Che manchino competitività, infrastrutture, adeguamento della legislazione giuslavoristica e fiscale in molti Stati Membri è cosa nota e scritta più e più volte anche dal sottoscritto. I ragionamenti da fare dietro questa scelta di politica monetaria però sono forse di stampo più politico che tecnico. A parere di chi scrive non è un caso che esattamente il giorno dopo tale provvedimento si assista al taglio del rating della Francia da parte di Standard & Poor’s (una delle maggiori agenzie di rating, quelle che danno il bollino finanziario, quelle che danno un giudizio sul se e come sarai in grado di adempiere alle tue obbligazioni finanziarie.)
In che direzione spinge la Bce? E l’Unione Europea? E i singoli governi? E gli altri attori del sistema?
Quanti interrogativi.
Partiamo da lontano. Gli altri. Banalmente vogliono avere dei partner a livello mondiale con cui intrattenere valide relazioni commerciali e finanziarie. Sia chiaro, meglio che non siamo noi ad avere maggior potere contrattuale come è stato fino alla fine degli anni ’80 perché il dominio geopolitico del mondo si sta spostando ad est (ed è inevitabile) ma nelle condizioni in cui siamo il rischio di diventare un peso anche per la loro crescita va via via acuendosi.
Avviciniamoci. L’Unione Europea. La risposta più antipatica. Non c’è risposta. C’è la Germania che continua sulla politica del rigore non ostata dalla Gran Bretagna che ha una sua indipendenza e tendenza alla neutralità (oltre a non utilizzare l’euro come moneta). Gli altri “grandi” – o meno piccoli oserei dire – come Francia, Italia e Spagna chiedono invece politiche fiscali di tipo espansivo o dal lato della spesa o dal lato di una minore tassazione promettendo, ancora però in modo poco credibile e strutturato (e su questo fanno leva gli amici tedeschi) riforme strutturali. Gli altri a ruota seguono ora questo, ora quel paese per via di opportune considerazioni di stampo politico e/o finanziario. Il risultato è che all’interno della Commissione Europea, del Consiglio Europeo e dello stesso Parlamento gli orientamenti e le chiacchiere la facciano da padroni rispetto alle misure da intraprendere.
Parlando dell’Unione Europea ci siamo detti anche cosa pensano i singoli governi.
Lato prettamente finanziario: la BCE, cosa vuole la BCE. Non è facile decifrarlo. Una lettura teorica di più ampio respiro del provvedimento preso forse, il condizionale è d’obbligo perchè le scienze economiche sono la coniugazione di qualunque verbo al condizionale, può aiutarci a darne una lettura quantomeno più compiuta.
La BCE, è noto, non può aiutare il sistema economico stampando moneta; la BCE non può aiutare il sistema economico svalutando la sua valuta in modo diretto, la BCE non può intervenire sulla politica fiscale dei paesi perché non è di sua competenza né, tantomeno, può farlo l’Unione Europea che è zoppa nel suo tentativo di Unione Economica complessivo perché i paesi non hanno ceduto, se non in piccola parte, e meno male, la loro sovranità sul piano fiscale (spesa pubblica e tassazione). La BCE può fare solo due cose che impattino sulla moneta in circolazione (che serve per consumare ed investire) in modo indiretto: muovere il tasso di interesse (se lo alza si dovrebbe avere una contrazione di liquidità perché è più appetibile vincolare moneta, se lo abbassa si dovrebbe avere un aumento di liquidità perché conviene meno vincolare moneta e quindi averne di più a disposizione per consumi ed investimenti) oppure, in modo ancora più indiretto agire tramite le c.d. operazioni di mercato aperto acquistando titoli, soprattutto del debito pubblico, che tengano i tassi di interesse sotto controllo e facciano da stimolo a consumi ed investimenti.
Quest’ultima operazione, che può essere dal punto di vista tecnico applicata in diversi modi, non è spesso riguardata di buon occhio quando non è equidistribuita. Se la BCE, ad esempio, compra titolo del debito pubblico italiano per sostenere il fabbisogno statale Italiano gli altri paesi, come notoriamente accaduto, possono risentirsi per non avere lo stesso trattamento. Questo anche quando i fondamentali economici suggeriscano la correttezza di una misura simile. Il caso greco, ma anche quello italiano sono esemplificativi in tal senso.
Nell’immobilismo dal lato della politica fiscale descritto a livello europeo la BCE allora con questa misura sta forse cercando di fare da apripista ad una politica fiscale più espansiva? L’interrogativo è lecito. Non solo per quanto asserito teoricamente, quanto perché è vero che nelle condizioni strutturali dell’eurozona il taglio di un quarto di punto del tasso di riferimento interbancario poco effetto può avere. Potrete verificare quanto asserito andando sul sito di una qualsiasi banca, oppure su siti specializzati che mettono a confronto le operazioni di finanziamento a famiglie e PMI. Il costo dei mutui (per restare sulla forma tecnica di finanziamento più conosciuta) cambierà decisamente di poco e comunque non in modo significativo da rappresentare una spinta decisa all’economia. Questo perché la componente più importante del costo di un finanziamento non è più da anni il tasso di interesse nominale applicato ai prestiti ma il c.d. spread (chi ha un mutuo in essere sa di cosa parlo) ossia quanto la banca decide di far pagare di più rispetto all’interesse fissato per coprire tutti i vari rischi che si addensano attorno al finanziamento.
Il punto è che se i paesi decidessero veramente (seppure per un periodo non molto lungo altrimenti si che si avrebbero danni) di effettuare una politica fiscale veramente espansiva (che significa fregarsene del deficit al 3% e di un debito pubblico alto) si potrebbe avere il rischio, in assenza di tassi molto bassi (cosi come invece correttamente imposti, a parere di chi scrive, da parte della BCE) di un effetto positivo meno forte di quello che potrebbero avere. Infatti se il settore pubblico decide di spendere molto ad esempio creando posti di lavoro, facendo piani di manutenzione straordinaria delle infrastrutture, costruendo oper epubbliche utili alla competitività del paese ecc. ecc. si potrebbe avere come controeffetto un aumento di tassi dovuto ad un eccesso di moneta in circolazione annullando così in parte gli effetti benefici che questa misura permette di avere dall’economia reale a quella finanziaria. In economia questo fenomeno è noto come “effetto spiazzamento”. In parole più semplici se ci sono più soldi in circolazione si alza il tasso di interesse facendo riabbassare in parte la moneta in circolazione che sarebbe depositata e non investita.
Così, se il tasso di interesse viene portato a livelli molto bassi prima di fare una politica fiscale veramente espansiva il rischio dell’effetto spiazzamento viene ridotto ex ante. Questo è quello che ha fatto la BCE.
E’ il bicchiere di acqua e zucchero! Solo che noi la pressione la abbiamo bassissima! Quindi il bicchiere di acqua e zucchero non fa nulla. Anzi, se i mercati si aspettano, e questo è il caso, che dopo l’acqua e zucchero non ci sarà nessuna cura strutturale (la politica fiscale espansiva) addirittura la risposta, come è stato, sarà negativa. Stiamo male, altra metafora medica, perché ci hanno dato la tachipirina, perchè abbiamo finito la tachipirina e perché non si vede nessuno all’orizzonte che ci porti l’antibiotico per sconfiggere il batterio che ha causato la febbre. Che fine facciamo?
La BCE quel che poteva fare (poco, perché poco potere ha, quanto meno a livello operativo) lo ha fatto. Il suo segnale va interpretato in senso politico, non nei listini, né nelle reazioni a caldo.
Ora sta a noi. Investiamo: nel settore pubblico, per i nostri giovani, per le nostre PMI. Per il nostro futuro.
di Sandro Brunelli
Fonte : 2duerighe

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