mercoledì 18 dicembre 2013

Dire "no" all'Euro non Basta

Dire "no" all'Euro non Basta
È sempre così, quando i guai sono visibili a occhio nudo, tutti diventano esperti e principi del foro. Era già successo con le crisi finanziarie: un minuto prima nessuno vedeva nulla, un minuto dopo Lehman Brothers tutti a pontificare. Tutti esperti. Lo stesso sta accadendo con l'euro e l'Europa. 

Fino a poco tempo fa chi osava criticare la moneta europea e l'edificio comunitario era un conservatore nella migliore delle definizione oppure era un idiota. Ora va dimoda il termine "populista". Lo usa il capo anzi il capissimo dello Stato, Napolitano, lo usa Letta e lo usano tutti quelli che preferiscono scalare le posizioni di potere (Renzi per esempio) e perciò flirtano con Draghi, Merkel, Barroso, Fondo monetario. Il cosiddetto populismo di oggi è invece la reazione dal basso ai fallimenti delle politiche di austerity prescritte dai trattati imposti da Bruxelles a una classe dirigente ignorante, miope e autoreferenziale.

 L'antieuropeismo dilagante è il secondo atto di una specie di "soddisfatti o rimborsati", è la risposta a voce alta di una cittadi-nanzamai coinvolta direttamente nei processi di costruzione europea. Non hanno voluto coinvolgere nessuno sull'euro? Beh, adesso si tengano quest'onda di ritorno. Viscerale fu l'ubriacatura eurista alla fine degli anni Novanta (anni in cui il sottoscritto già diceva che era una colossale cretinata), viscerale è adesso ilrigetto. Conia differenza che se in quegli anni la pancia era piena, adesso la pancia brontola di brutto se non addirittura è vuota. Di questo nuovo sentimento si stanno accorgendo i partiti. 

L'esperienza di Mario Monti inse- gna. Il professore bocconiano in un anno è stato polverizzato; da uomo della provvidenza e della credibilità, osannato dai giornalo -ni dai mercati e da tutti, ora è un ingombrante senatore a vita. Un inutile generale senza esercito. Gli sta bene. Questo capita a chi si mette al servizio delle tecnocrazie. Se ne stanno accorgendo anche Enrico Letta e, di più, Giorgio Napolitano il cui consenso è assai basso. Insomma fuori dal fanatismo eurista (ancora puntellato a dovere) c'è uno spazio politico ed elettorale. 

Lo sa bene Beppe Grillo. Sta provando a capirlo anche Matteo Salvini, il quale spera di beneficiare di questo mood per rilanciare una Lega a corto di fiato. Ovviamente la questione "euro" è maledettamente seria perché si connette al rilancio dell'economia reale. Dire no all'euro insomma non basta, occorre avere idee su come uscire e soprattutto sul che fare dopo. Nessuno lo dice. Ho sempre riconosciuto ai 5 Stelle il fatto di aver puntato sul tema già in campagna elettorale ma finora di gesti concreti, forti, politici, non ce ne sono stati.

 Galleggiano anch'essi sull'equivoco. Salvini non è dameno, anzi fa addirittura peggio visto che sento parlare di moneta padana giusto per complicare le cose (già è un casino uscire dall'euro figuriamoci battere la moneta padana!). Il nocciolo della questione che i partiti anti-euro non vogliono capire è legato al debito pubblico. Cosa intendono fare, in un momento di crisi profonda, con il debito pubblico? Lo vogliono espandere per stimolare la crescita o vogliono aggiustarlo pensando di cavalcare temi che, nel caso della Lega, sarebbero un boomerang vistala "mutandopoli" piemontese? Salvini, per salvare il compagno di partito Roberto Cota, se l'è presa coi giornalisti (sai che novità...) e con quelli che vorrebbero il male delmovimento dimenticando che i primi ad avere inguaiato la Lega sono gli stessi dirigenti leghisti, i quali avrebbero potuto e dovuto incidere davvero nella struttura di uno Stato che pur hanno gestito daposizioni di comando. L'asse con Tremonti non ha fatto nulla di buono per quel popolo di piccoli imprenditori che pure si era illuso di poter cambiare l'Italia votando Lega.

 Calderoli ha costruito un federalismo che ha cominciato a impoverire le periferie. Basta chiedere ai sindaci col fazzoletto verde. Lo ricordo benissimo Flavio Tosi quando si lamentava del federalismo inutile studiato dall'allora ministro berga- masco. Ora Salvini pensa di cavalcare l'avversione verso l'euro per ridare smalto e velocità al Carroccio. Buona fortuna, ma stavolta gli slogan non bastano. Gli slogan danno slancio all'inizio di un'avventura, non alla fine. Alla fine di solito si presenta il conto. Maastricht fu l'origine dei mali.

 Il trattato di Lisbona il passo di non ritorno. Ameno di unarivolu-zione politica che però - ripeto - non può lasciare come accessorio il tema del debito pubblico. La follia eurista (voluta dai circuiti finanziari che contano) è proprio quella di comprimere il debito pubblico per aumentare l'indebitamento privato. È quello che è successo. I dati fallimentari di oggi su lavoro e impresa sono il risultato di un processo studiato a tavolino e realizzato con la complicità o di politici conniventi o di politici ignoranti. L'aver sottratto sovranità monetaria ha annullato la capacità di manovra politica, tanto che da anni siamo alle prese con leggi di stabilità ragionieristiche.

 Non c'è margine di sviluppo! Affermare che l'euro è un crimine lo abbiamo già fatto prima di Salvini noi in tivù, lo ha fatto Paolo Barnard (in rete c'è il suo libro II più grande crimine) che però aggiunge anche delle proposte di macroeconomia. Gli slogan sono finiti. I movimenti no euro mettano fuori la testa, si presentino con delle proposte economiche per dare oggi le risposte che avrebbero dovuto dare ieri. Altrimenti lascino perdere

Tratto da : liberiamoci

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